PREPARARSI A SOSTENERE UN AUDIT: SUGGERIMENTI
I suggerimenti del collega Danilo Digennaro per affrontare un audit nel modo giusto
di Danilo Digennaro
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L’audit, seppur momento di crescita e confronto, reca con sé un carico di stress emotivo da prestazione. La percezione della verifica è infatti fin da subito percepita come invasiva della sfera privata aziendale a cui solitamente si tende ad approcciarsi con un atteggiamento di chiusura e mal sopportazione. La corretta programmazione, l’adeguata postura e il giusto atteggiamento mentale possono invece permettere all’organizzazione di cogliere gli aspetti positivi della visita nell’ottica del miglioramento continuo.
Un raffronto balza immediatamente all’occhio: la visita in azienda è assimilabile a quella medico-sanitaria. Per noia, pigrizia, paura, tendiamo umanamente a non amare e, quindi, ad evitare le visite mediche: in caso di esito negativo dovremmo cambiare stile di vita – rinunciando ad esempio ad una parte dei nostri vizi – o assumere farmaci o sottoporci ad attività sanitarie. Tutte eventualità dalle quali solitamente si tende a rifuggire per ritrosia al cambiamento o paura. Il medesimo atteggiamento, mutatis mutandis, tende a configurarsi in fase di audit. Ecco perché, modificando l’approccio iniziale, è possibile comprendere fin da subito che la visita medica, così come l’audit, mira in realtà ad apportare solo benefici e miglioramenti continui: le preoccupazioni tendono a modificarsi in opportunità, di sentirsi meglio, di essere maggiormente in salute, di poter soddisfare al meglio i requisiti del cliente tramite il miglioramento dei propri processi interni.
In primis è necessario che l’ente di certificazione, il cliente importante, il piccolo acquirente, chiunque sia il soggetto incaricato di eseguire l’audit faccia pervenire, in tempi ragionevoli, un programma dettagliato della visita. Se nulla viene condiviso è bene richiederne una copia. L’obiettivo di tale condivisione non ha solo finalità calmanti (conoscere prima gli argomenti ci permette di verificare la nostra preparazione e colmare eventuali lacune tramite una gap analysis) ma anche e soprattutto organizzative: è necessario, infatti, capire quando eseguiremo il giro in Produzione, quando ci recheremo presso l’Ufficio Acquisti, quando è il momento di passare nell’Ufficio Risorse Umane. Inoltre, è bene ricordare che l’iniziale difetto dell’auditor distratto o pigro che dimentica di condividere il programma con l’organizzazione, si trasforma ben presto in fastidio, danno e mala gestio nel momento in cui a richiesta di incontrare, ad esempio, il Responsabile H&S per occuparci della questione della sostenibilità non si possa che limitarsi a rispondere “Mi spiace ma al momento è impegnato e non può partecipare all’audit”. Resta inteso che è necessario identificare un processo incaricato di interfacciarsi con l’auditor già nella fase embrionale per evitare che l’ingresso della richiesta e la successiva organizzazione della visita siano una volta in mano all’Ufficio Commerciale, la volta dopo a quello Qualità, poi a quello Acquisti, con naturale perdita di programmazione e confusione, sia per questa che per le prossime visite. Un iter ben rodato e collaudato aiuta ad affrontare al meglio la visita e ad identificare punti di riferimento costanti a cui rivolgersi in caso di dubbi o perplessità.
Ottenuto il programma è sempre bene vivere un momento di confronto utile a preparare la visita, ad interfacciarsi con i flow manager ed evitare effetti sorpresa in reparto o in ufficio che da subito fanno intendere all’auditor che il sistema sembri non funzionare al meglio. Le sorprese, in sede di audit, non sono ben accette e creano inutili contrasti facilmente prevenibili con la giusta organizzazione necessaria ad evitare i disarmanti proclami del tipo: “Nessuno ci aveva avvisato dell’audit”. È bene, ovviamente, individuare delle persone incaricate di seguire gli auditor, non necessariamente appartenenti all’Ufficio Qualità, né necessariamente a conoscenza di tutti gli argomenti oggetto della visita: l’obiettivo è quello di coordinare la visita, non di rispondere a tutte le domande. Gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo, un coordinatore della verifica ispettiva non può che aiutare e facilitare il regolare svolgimento delle attività.
L’atteggiamento e la postura devono essere volti alla calma e al confronto. Spesso gli operatori sentono l’invasività dell’interrogazione e tendono ad innervosirsi o a chiudersi a riccio; di contro, i più spavaldi e volenterosi, ribaltano sull’auditor un effluvio di parole esagerate che spesso hanno poco a che fare con la domanda e che scoprono il fianco a punti deboli che sarebbe meglio non mostrare. Il giusto atteggiamento è più processuale e attinente all’atteggiamento di limitarsi a rispondere alla domanda: risposte chiare, pertinenti e che possano far capire all’auditor il funzionamento del processo in esame.
È naturale che la visita spesso si esegua in momenti lavorativi che non permettono il naturale scorrere organizzato della visita ma sono assolutamente da evitare atteggiamenti di passiva ostilità che mal dispongono l’auditor come rispondere ripetutamente al telefono o alle mail, discutere o chiacchierare con i colleghi, distrarsi per scarso interesse: l’incontro con l’auditor dura pochi minuti è quindi buona norma dedicargli tutta la giusta attenzione.
Per combattere la scarsa propensione di alcuni operatori ad interfacciarsi con personale esterno, utili e indispensabili sono gli audit interni: buon allenamento, dialogo continuo e la simulazione di verifica non possono che portare giovamento e preparare l’operatore ad affrontare al meglio l’audit, di seconda o terza parte. Nervosismo espositivo, difficoltà nel dialogo possono portare l’auditor a fraintendere e a scambiare l’errata comunicazione in indizio di non conformità. È inoltre importante ricordare che l’auditor non può conoscere tutto: primo obiettivo deve quindi essere farsi capire e intendere al meglio l’intento della domanda. Anche in caso di possibile non conformità sono assolutamente da evitare le tipiche risposte del tipo “Abbiamo sempre fatto così” o, peggio, tirare in ballo la magica ESPERIENZA: meglio fermarsi, rivolgersi al proprio superiore e verificare la presenza di informazioni documentate piuttosto che utilizzare frasi poco edificanti che palesino scarsa preparazione.
È indispensabile anche avere il giusto approccio mentale. L’audit deve essere vissuto come momento di crescita e valorizzazione dei propri processi aziendali con l’intento di aumentare e accrescere la soddisfazione dei propri clienti. Anche se spesso le domande sono sempre le medesime è necessario non approcciarsi con atteggiamenti di fastidio o noia ma aiutare l’auditor a comprendere i nostri processi supportando ogni nostra affermazione tramite evidenze che, del resto, rappresentano l’essenza della visita. Un fatto, un’azione, una verifica, senza un’evidenza a sostegno non sono spendibili a titolo di evidenze: non si può affermare, ad esempio, che sono eseguiti audit interni ad intervalli pianificati senza che esista un report documentato; non può dimostrarsi l’esecuzione di una formazione senza la correlata presenza di un documento attestante l’avvenuta attività. L’auditor non sta indagando a fondo per danneggiarvi ma lo sta facendo per capirvi e ricercare le necessarie evidenze da porre a sostegno delle sue argomentazioni.
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Infine, è bene ricordare che l’audit non termina con la visita in quanto è necessario dare seguito alle non conformità e alle Opportunity of Improvement. Queste ultime in particolare sono spesso valutate come tamquam non essent; vero, esse non richiedono un obbligo pari al rilievo di una non conformità che deve essere analizzata, affrontata e risolta con precise metodologie e in tempi certi ma spesso rappresentano un indizio di future non conformità che, se risolte e prese in considerazione, possono permettere la prevenzione in luogo della cura. Comunque, è necessario e doveroso non limitarsi alla correzione della non conformità ma impegnarsi anche nell’applicazione di un metodo che impedisca in futuro il suo ripetersi: non c’è evidenza peggiore che ripresentare all’auditor la medesima problematica sollevata nella precedente visita in quanto sintomo di acclarato e doloso menefreghismo.
Dialogo continuo, audit interni e visite in reparto, atteggiamenti proattivi, presa in considerazione dei rilievi possono portare l’organizzazione a vivere l’audit come un momento di crescita e non d’invasione e a scoprire proprie debolezze che spesso per abitudine, incapacità interna, scarsa collaborazione tra i processi non riescono ad emergere ma che è bene risolvere prima che la crepa diventi frattura.
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