IN UN AUDIT ISO 9001 QUANTO
DEVE ESSERE COINVOLTO L'AUDITOR
NELLE AZIONI CORRETTIVE?

Capita spesso che, durante un audit
ISO 9001, vengano rilevate delle non
conformitą alle quali occorre rimediare
progettando delle azioni correttive.
Che parte ha l'auditor in questo processo?

 

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Gli audit non sono tutti uguali. Per rispondere alla domanda: "Quanto dovrebbe essere coinvolto un auditor nella progettazione e implementazione delle azioni correttive che servono per correggere le non conformità rilevate in sede di audit e fare in modo che non si verifichino più?", crediamo sia importante ricordare come si suddividono gli audit:

  • audit di prima parte - sono gli audit interni, quelli condotti dal personale dell'azienda all'interno dell'organizzazione per cui lavora o da consulenti esterni pagati dall'azienda;
  • audit di seconda parte - sono gli audit condotti da un cliente presso l'azienda fornitrice (o da aziende specializzate o da consulenti che svolgono questo lavoro per il cliente);
  • audit di terza parte - sono gli audit condotti dal personale di un ente accreditato al fine di concedere la certificazione secondo la norma ISO 9001 alle organizzazioni che risultano in linea con i requisiti del documento

Nei tre casi, a seconda dell'audit, ci si può/deve comportare in maniera diversa rispetto al coinvolgimento dell'auditor nel processo di definizione e implementazione delle azioni correttive.

Audit di prima parte o audit interno

Nel caso di audit interno, l'auditor lavora per l'azienda o è un consulente assunto per fornire valore aggiunto all'azienda, quindi contribuire o meno al processo di definizione e realizzazione delle azioni correttive è una scelta aziendale e del professionista. Può accadere, ad esempio, che in alcune realtà si fatichi a capire il concetto di "non conformità" e di azione correttiva" e, quindi, l'auditor potrebbe fornire un supporto nel chiarire al meglio cosa si intenda per azione correttiva e nel far ragionare le persone su quale possa essere la soluzione migliore alla non conformità individuata.

Attenzione! Pur trattandosi di una persona che lavora per l'azienda, a nostro giudizio il lavoro dell'auditor non dovrebbe andare al di là di quello di facilitatore, coach e formatore. Questa persona, quindi, dovrebbe aiutare le persone che lavorano sul processo auditato a cercare IN AUTONOMIA le soluzioni alle problematiche emerse, guidandole lungo il percorso ma non dando direttamente suggerimenti.
Questo concetto è importante per partire subito col piede giusto e far recepire il messaggio che la qualità è un lavoro di tutti, non del responsabile qualità, dell'auditor, del consulente o della Direzione. L'auditor, se sarà il caso, supporterà la comprensione delle tematiche e aiuterà le persone a lavorare all'interno di un percorso logico ma il suo lavoro deve necessariamente fermarsi qui per non snaturare l'obiettivo dell'audit. Le soluzioni devono arrivare da chi lavora su un processo, non da chi gestisce il sistema.

La responsabilità finale per l'azione correttiva scelta, quindi, dev'essere del proprietario del processo anche se nessun requisito della ISO specifica che il personale che si occupa dei progettare e implementare l'azione correttiva debba essere indipendente da chi ha individuato la non conformità, quindi, tecnicamente, non ci sarebbe alcun problema e potrebbe persino essere l'unica strada da seguire in un'organizzazione dalle risorse davvero molto limitate. Secondo noi, comunque, è bene abituarsi fin dagli audit interni a rispettare quello che è lo spirito dello standard.

Audit di seconda parte o audit presso il fornitore

Anche in questo caso non c'è una risposta univoca. Chi fa un audit per conto di un'azienda cliente presso uno dei suoi fornitori può decidere di limitarsi a rilevare le non conformità o, su richiesta dell'azienda fornitrice e con il benestare del cliente, ricoprire il ruolo di facilitatore che abbiamo già visto nel caso di un audit di prima parte.
Questo secondo atteggiamento è particolarmente utile se la realtà che fornisce un prodotto, un servizio o un semilavorato non ha esperienza di qualità e si vuole portarla a fornire maggiore valore aggiunto all'azienda cliente. Attenzione, però, a non farsi coinvolgere troppo nel processo perché, passando da uno sguardo da spettatore esterno, a uno dall'interno dell'azienda fornitrice, si rischia di perdere l'obiettività necessaria a portare reale valore aggiunto al cliente finale che è l'azienda che ha commissionato l'audit di seconda parte. Le cause scatenanti che hanno portato alla non conformità devono, quindi, essere individuate e corrette dal fornitore, senza suggerimenti esterni che dovrebbero limitarsi a far comprendere l'obiettivo finale del lavoro.

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In calce all'articolo riporteremo quotidianamente un aggiornamento sulla norma)

Audit di terza parte o di certificazione

Questo è l'unico caso in cui MAI, per nessun motivo al mondo, l'auditor dell'ente certificatore che conduce un audit presso l'organizzazione da certificare può rivestire il ruolo di consulente perché ci sarebbe un forte conflitto di interessi vietato a livello normativo. Le attività di rilevazione della problematica e i suggerimenti relativi alla sua soluzione devono restare separati.

In questo caso è possibile fornire informazioni generali ma non soluzioni specifiche (si rientrerebbe nel campo della consulenza), si possono spiegare teorie, metodologie, tecniche e strumenti e illustrare le migliori prassi ma nient'altro.

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