LEADERSHIP E STRATEGIA: EVOLUZIONE
NEL TEMPO
Storia della strategia associata alla leadership
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Una strategia per affrontare i cambiamenti
In un ambiente che cambia così velocemente, è fondamentale che i leader si muovano all'interno delle organizzazioni avendo ben chiara in mente una strategia che vada al di là della semplice gestione del quotidiano. Su questo dovremmo essere tutti d'accordo, soprattutto alla luce di quanto stiamo vedendo durante questa brutta crisi.
Ogni leader, ogni responsabile ma anche ogni collaboratore ha bisogno di avere una visione strategica del proprio lavoro e dell'impegno riversato quotidianamente all'interno dell'azienda per cui lavora.
E' stata proprio questa necessità a creare attorno allo strategic thinking un grande dibattito, come forse mai era avvenuto prima nella storia della leadership.
La strategia si evolve
La storia del pensiero riferita alla strategia è, tutto sommato, abbastanza recente. E' negli ultimi 30 anni, infatti, che la materia ha trovato i suoi maggiori esperti e che le teorie hanno conosciuto un rapido sviluppo.
Il moderno pensiero strategico, infatti, risale alle teorie di Michael Porter che, per parlare in modo oculato di strategia, mise in campo gli attori principali:
- le principali forze in campo - nuovi prodotti, nuovi servizi, competitività tra concorrenti, crescita del potere di clienti e fornitori, ecc.
- le strategie per competere - gestione dei costi, differenziazione di prodotti e servizi , attenzione alla segmentazione del mercato, ecc.
- la catena del valore - a partire dalle materie prime fino ad arrivare alle lavorazioni, al marketing, alla distribuzione e al servizio post-vendita
Il Boston Consulting Group, più tardi, mise a punto una matrice di crescita delle organizzazioni nella quale i singoli prodotti o servizi erano così definiti:
- le "stelle" - prodotti e servizi con una grande diffusione e una crescita ancora notevole
- le "vacche da mungere" - prodotti e servizi con una grande quota di mercato ma con una crescita lenta
- i "punti di domanda" - bassa diffusione ma crescita potenzialmente buona
- i "cani" - sono i prodotti / servizi da abbandonare perché poco diffusi e senza una reale ossibilità di crescita
Un passo avanti nelle teorie riferite alla strategia lo fecero Gary Hamel e C. K.
Prahalad che, per primi, capirono che il vantaggio competitivo si costruisce con una forte leadership.
Ecco, allora, nascere l'esigenza di andare al di là di quello che tutti gli altri già fanno per individuare cosa serva davvero al cliente anche se il cliente stesso ancora non lo sa (sono i famosi bisogni latenti).
Per esercitare una strategia di questo tipo, occorre potenziare le risorse umane che lavorano per noi formandole, facendole crescere, mettendole in grado di sbagliare e di imparare, permettendo loro di suggerirci cose alle quali non avremmo mai pensato.
Henry
Mintzberg migliorò ulteriormente ancora questa intuizione, scrivendo che la strategia può essere solo temporanea perché deve sempre evolversi per adattarsi all'ambiente in cui opera che non è stabile.
Affermando che: "La strategia altro non è che l'idea che un'organizzazione ha di come interagire con l'ambiente per un certo periodo di tempo" riuscì ad esplicitare molto bene questo concetto, spingendo i leader a chiedersi continuamente se la loro strategia fosse o meno adeguata alla gestione delle loro realtà. Se ci riflettete un po' su, vi accorgerete che è quanto spiega la ISO 9001 quando parla del contesto.
Mintzberg, dunque, vede la strategia come una pratica onerosa, fatta di analisi e forse troppo formalizzata per i tempi moderni che sembrano correre troppo velocemente. Al posto di una pianificazione strategica, ci suggerisce, infatti, di utilizzare un modo di pensare strategico: più sperimentale, discontinuo, in continua evoluzione ma capace di adattarsi al tempo presente e di reagire in fretta alle nuove sfide.
Anche Lee Perry, Randy Stott e Norm Smallwood, proprio come Mintzberg, vedono la strategia come un qualcosa di ubiquitario e in evoluzione permanente. Le loro teorie, infatti, enfatizzano:
- la necessità di esplicitare le proprie idee in fatto di strategia, in modo da creare un intento comune
- l'idea che bisogna costringere i propri collaboratori a improvvisare strategie per gestire piccoli problemi, così da renderli più autonomi e capaci di reagire
- l'importanza di analizzare i possibili vantaggi e gli svantaggi di una scelta potenziale per far coincidere le capacità con le opportunità
- il bisogno di una continua misurazione delle performance per ridurre, fino ad eliminarli, tutti gli sforzi che si allontanano dal pensiero strategico comune
Michael Tracey e Fred Wiersma, qualche tempo dopo, identificarono le tre discipline che devono stare alla base della strategia di un'organizzazione:
- l'eccellenza del proprio lavoro
- la leadership riconosciuta per i propri prodotti
- la fedeltà della clientela
ma fu James Moore che individuò nella vittoria della sfida competitiva le basi dello strategic thinking: “Il vantaggio competitivo in questo nuovo mondo deriva dal sapere costruire un vero e proprio ecosistema….”. Proprio come in un ecosistema, infatti, le organizzazioni si evolvono attraverso quattro fasi:
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- facendo i pionieri, cioè esplorando nuovi territori (creando nuovi prodotti / servizi, esplorando nuove nicchie di mercato)
- espandendosi grazie alle alleanze con chi sta loro vicino (fornitori, clienti), in modo da avere la supremazia
- mantenendo la necessaria autorità all'interno dell'ecosistema anche facendo scelte coraggiose come la revisione della politica dei prezzi o ristrutturando le aree dell'organizzazione che non funzionano
- infine, proprio come gli ecosistemi, morendo a causa di profondi cambiamenti ambientali o rinnovandosi per contrastarli
Adam Brandenburger, infine, ha parlato di strategia inserendola all'interno della Teoria dei giochi e vedendo, così, sotto una nuova luce le regole del competere, l'aggiunta di valore e il basarsi sulle tattiche per arrivare fino alla vittoria.
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