CHRIS ARGYRIS

Impariamo a conoscere il teorico del doppio livello
dell'apprendimento

 

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Chris Argyris è un teorico della "Learning Organization" (organizzazione che impara).
Molto noti sono, soprattutto, i suoi lavori condotti col collega Donald Schon.

Argyris divenne famoso grazie al concetto di "scienza dell'azione", il processo, cioè, di ricerca scientifica che si concentra su un argomento e lo approfondisce di continuo mediante feedback.
Le sue teorie riconoscono l'importanza della conoscenza nell'abbattere le barriere e nel guidare il cambiamento all'interno delle organizzazioni.

I suoi lavori degli anni '70 hanno fatto da apripista alle grandi scuole di pensiero degli anni '90 e alla teoria della gestione della conoscenza.

I suoi lavori

Il lavoro di Argyris può essere suddiviso in tre grandi periodi:

  • fine anni '50-inizio anni '60: si concentrò sul tema delle organizzazioni, sulle esigenze di un'organizzazione rispetto a quelle personali dell'uomo
  • a partire dalla metà degli anni '60 si concentrò sui problemi che derivano dal cambiamento all'interno delle organizzazioni e sulla teoria della "scienza dell'azione" come strumento per sostenere il cambiamento
  • a partire dagli anni '70, Argyris abbandonò l'argomento specifico dei problemi legati al cambiamento per dedicarsi allo studio della conoscenza come risorsa

Il suo pensiero

Chris Argyris cercò di mettere a fuoco il motivo che spinge le organizzazioni a fissare obiettivi spesso contrastanti con le loro necessità e con le necessità delle persone che lavorano in esse. In particolare, criticò la burocrazia che così spesso si vedeva (e si vede ancora...) all'interno di certe strutture: organigrammi rigidi e gerarchici gestiti "top-down" e comunicazioni calate dall'alto e, spesso, non recepite o recepite male.

Il bisogno smodato di controllo da parte della Direzione porta a tarpare le ali ai dipendenti e a non tenere conto dei loro obiettivi personali. Agire in questo modo è sicuramente sbagliato perché porta a non incanalare al meglio tutte le energie presenti in azienda causando, oltretutto, insoddisfazione e conflitti.

Quando le persone crescono e diventano più esperte tendono a diventare più indipendenti e attive. Risulta quindi alquanto difficile mantenerle allineate ad obiettivi che non condividono.
Per fare un esempio facilmente comprensibile, un giovane laureato sarà contento di qualsiasi incombenza gli faremo svolgere perché avrà come suo unico interesse quello di imparare il più possibile per aumentare le proprie conoscenze e competenze e, di conseguenza, il suo valore sul mercato del lavoro. Al contrario, un manager di 40 anni diventerà presto insofferente se non sapremo garantirgli i giusti spazi.

Le aziende più avvedute cercano di affrontare il problema promuovendo le figure più esperte e capaci in posizioni di maggiore responsabiltià in modo da allargarne orizzonti e responsabilità. Non prestando, però, attenzione a ciò che le persone vogliono davvero fare, ci si limita a rimandare di qualche anno il problema, spostando solo le frustrazioni più avanti nel tempo.

La promozione, tra l'altro, risulterebbe essere una ricompensa per i successi ottenuti in passato ma, prima di promuovere la persona, bisognerebbe verificare se questa sarà poi realmente in grado di svolgere le nuove mansioni che vogliamo affidarle.
Del resto, uno psicologo canadese, Laurence Peter, negli anni '60 formulò il Principio di incompetenza che, come afferma Wikipedia, sostiene che: "In ogni gerarchia, un dipendente tende a salire fino al proprio livello di incompetenza" e, ancora: "con il tempo ogni posizione lavorativa tende ad essere occupata da un impiegato incompetente per i compiti che deve svolgere", infine: "tutto il lavoro viene svolto da quegli impiegati che non hanno ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza".

Il principio deriva da un altro assioma: "ogni cosa che funziona per un particolare compito verrà utilizzata per compiti sempre più difficili, fino a che si romperà".
Finché un impiegato si dimostrerà in grado di assolvere il suo compito, verrà continuamente promosso al livello superiore, nel quale dovrà assolvere un compito differente. Alla fine del processo, tale impiegato avrà raggiunto il proprio livello di incompetenza, ovvero la condizione in cui non è più in grado di svolgere il compito assegnato e, di conseguenza, non ha più alcuna possibilità di essere promosso, ponendo fine alla propria carriera all'interno dell'organizzazione.
All'impiegato non verranno più date promozioni e l'azienda si troverà a dover gestire una persona insoddisfatta che fa male il proprio lavoro.

Argyris si concentrò anche sulla resistenza al cambiamento che porta le persone a crearsi delle routine abitudinarie di difesa che portano a bloccare o, almeno, a rallentare il cambiamento.
Col passare del tempo, queste cattive abitudini diventeranno parte integrante della cultura aziendale e la mineranno nel profondo fino ad influenzare addirittura le persone nuove che inizieranno a lavorare all'interno dell'organizzazione.

Nei suoi lavori più recenti, Argyris cercò ci andare al di là del problema della resistenza al cambiamento, provando a capire quali ragioni stessero dietro al problema stesso. Per farlo, intuì che fosse necessario staccarsi dal pensiero scientifico più classico che imponeva di osservare i fenomeni come spettatori neutrali. Argyris e Schon abbandonarono, dunque, la loro torre eburnea di scienziati per calarsi nella realtà delle organizzazioni e provare ad influenzarla positivamente. Passarono, dunque, ad un nuovo tipo di ricerca che si basasse sui riscontri oggettivi ottenuti tramite continui feeedback su ciò che veniva realizzato.

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Questo nuovo processo di integrare la conoscenza all'interno delle aziende fu definito da Argyris come "doppio cerchio dell'apprendimento" : un cerchio semplice è un processo di apprendimento dove i feedback vengono utilizzati per influenzare i processi di apprendimento successivi, il doppio cerchio, invece, utilizza i feedback ricevuti non solo per influenzare gli interventi formativi successivi ma anche per decidere quali dovranno essere.

La domanda da porsi, dunque, non dovrà semplicemente essere "cosa facciamo adesso?" ma "perché stiamo facendo così?" e, cosa ancora più importante "cos'altro potremmo fare?".

Figura assolutamente attuale nel panorama della gestione della Qualità, non credete?

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