LA LEGGE DI PARKINSON

 

Articolo di Serena Gallo Quality manager ed ex consulente che si occupa da anni di Qualità, Ambiente e Sicurezza. Potete contattare Serena sul forum di QualitiAmo

legge di Parkinson

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"La burocrazia è un gigantesco meccanismo manovrato da pigmei"
Honoré de Balzac

Qualcuno conosce la famosa legge di Parkinson? Dovreste, visto che spiega il motivo per cui le nostre organizzazioni, soprattutto nella Pubblica Amministrazione, funzionano male.

La teoria alla base di questa legge è quella della piramide crescente che spiega come il lavoro all'interno di un'organizzazione cresca e si espanda in modo da occupare tutto il tempo a disposizione per il suo completamento. Se, dunque, avrò una settimana per espletare un certo compito, farò in modo (spesso irrazionalmente) di far crescere il lavoro così tanto da metterci almeno una settimana, nemmeno un minuto di meno.

Del resto, è cosa nota che per fare un certo compito ci si possa mettere pochissimo o tantissimo, a seconda dei meccanismi perversi che si svilupperanno attorno al nostro compito.
Un riconoscimento popolare della validità di questa legge ce lo dà un famoso proverbio che afferma: "L'uomo più occupato è quello che ha più tempo da perdere".

C'è una relazione bassissima, per non dire inesistente, tra la quantità di lavoro da svolgere e il numero delle persone che lo svolgono che, spesso e volentieri, non aumenta in parallelo alla crescita del lavoro stesso.
A sottolineare questa tendenza generale ci sono due affermazioni quasi assiomatiche:

  • un funzionario tende a moltiplicare i subordinati, non i rivali
  • i funzionari generano lavoro (inutile) uno per l'altro

Parkinson continua il suo ragionamento, dando il seguente esempio.
Se un funzionario "A" crede di essere oberato di lavoro, ci sono tre possibili rimedi:

  • le dimissioni;
  • chiedere di dimezzare il lavoro, condividendolo con un collega "B";
  • chiedere l'assistenza di due subordinati "C" e "D"

Le prime due opzioni sono alquanto improbabili. Le dimissioni comporterebbero la perdita del diritto alla pensione e trovare un altro lavoro non è sempre così facile, mentre la condivisione del proprio lavoro con un collega dello stesso livello professionale porterebbe solamente ad avere accanto un possibile rivale per un'eventuale promozione.

Di sicuro, quindi, "A" preferirebbe essere affiancato da due membri più giovani dello staff: "C" e "D".
Questo si tradurrebbe in uno status migliore agli occhi dei colleghi perché si troverebbe ad avere ben due sottoposti ma "A" continuerebbe a rendersi necessario perché sarebbe l'unico a comprendere fino in fondo il lavoro che dovranno fare "C" e "D", mantenendo il controllo sul flusso del processo.

Ma perché due sottoposti e non uno? La risposta è facile: con una persona sola saremmo rientrati nella seconda ipotesi scartata, quella in cui un nuovo collega si sarebbe potuto rivelare un rivale per un'eventuale promozione.

Quando, a sua volta, "C" si lamenterà per il troppo lavoro, "A" deciderà di affiancarlo ad altri due assistenti: "E" ed "F". Tuttavia, dato che la posizione di D sarà molto simile, per evitare qualsiasi attrito interno verranno scelti altri due assistenti, "G" e "H" da affiancare a "D".

A questo punto conteremo ben sette persone: "A", "C", "D", "E", "F", "G", "H", tutte impegnate a fare quello che "A" prima faceva da solo.

E' qui che si apre un nuovo scenario: "C", "D", "E", "F", "G" e "H" sono così impegnati a lavorare fra loro da non riuscire a fare altro per cui "A" scoprirà di essere, in realtà, molto più impegnato di prima.
Se, ad esempio, un documento in ingresso arrivasse sulla scrivania di "E", questo potrebbe ritenere che lavorare su quel documento sia compito di "F", che invierebbe a "C" una bozza di risposta. "C" farebbe alcune modifiche drastiche prima di consultarsi con "D" che deciderebbe di affidare il compito a "G".
Capiterebbe, però, che "G" andasse in ferie e che il compito passasse ad "H" che preparerebbe una bozza, la farebbe firmare a "D" e la farebbe tornare da "C" che rivedrebbe la bozza, ne emetterebbe una nuova versione inserendo le modifiche concordate e la trasmetterebbe ad "A".

Dopo tutto questo giro di carte, ci si aspetterebbe che "A" mandasse avanti il lavoro fatto senza nemmeno verificarlo ma lui è troppo coscienzioso per non concentrarsi su una nuova lettura del documento e per non apportare le correzioni che riporteranno il documento alla prima stesura di "F".
Sicuramente darà anche una veloce sistemata all'italiano, visto che nessuno dei suoi collaboratori è in grado di utilizzare bene le parole, e - alla fine - otterrà un documento che sarebbe stato quello che avrebbe preparato se "C" e "H" non fossero mai arrivati a lavorare alle sue dipendenze.

Il punto più importante di questo scritto di Cyril Northcote Parkinson, uno storico navale che scrisse una sessantina di libri, è che illustra benissimo il divario che esiste tra l'approccio razionale / intellettuale all'organizzazione e il procedere, spesso irrazionale, della natura umana.
A mio giudizio lo studio di questa legge dovrebbe essere obbligatorio in tutte le business school e per tutti i consulenti gestionali.

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Le strutture gestionali, infatti, non risolvono nulla se non si prende in considerazione la natura umana e, soprattutto, il fatto che a nessuno piace davvero dover prendere decisioni.
Di conseguenza, la struttura può generare un sacco di attività ma poco o nessun valore aggiunto.

Le prestazioni lavorative delle persone sono influenzate dal comportamento idiosincratico di certi individui e da una complessa combinazione di fattori sociali e culturali.
Le tensioni, i conflitti e certa politica sono inevitabili, così come lo sono le strutture informali di un'organizzazione e i metodi di lavoro non ufficiali. Pertanto, una gestione efficace è quella che coglie gli aspetti più umani dell'organizzazione.

Qual è la vostra opinione al riguardo? La vostra organizzazione è simile a quella che ho descritto in questo articolo?

PER SAPERNE DI PIU':
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