PREGIUDIZI COGNITIVI CHE DANNEGGIANO
IL TIME MANAGEMENT

di Staff di QualitiAmo

Cos'è un bias cognitivo e come può influire sulla vostra gestione del tempo?

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L'uomo è un animale razionale o, almeno, è questo che ci è stato detto. Per una vita intera, ho cercato diligentemente le prove a favore di questa affermazione. Finora non ho avuto la fortuna di trovarle
(Bertrand Russel)

"Mentire a noi stessi è ben più radicato nella nostra anima del mentire agli altri
(Fyodor Dostoevsky)

Fino a una cinquantina di anni fa fa gli esperti credevano che gli esseri umani fossero creature fondamentalmente razionali e, per questo, basavano i loro modelli sul presupposto che, di fronte a un compromesso, se dotate di informazioni complete e accurate, le persone scelgono l'opzione che massimizza il loro benessere. Il problema è che tutti noi procrastiniamo quando non possiamo proprio permetterci d farlo e mangiamo cibo spazzatura, pur essendo perfettamente coscienti che non dovremmo farlo e avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie per spiegarcelo razionalmente.
Lamentarsi di non avere abbastanza tempo e poi non utilizzare saggiamente il tempo che abbiamo non è una decisione intelligente, eppure chi di noi non l'ha presa? Ci piace ritenerci persone razionali capaci di fare scelte basate sulla logica e sui fatti capaci di promuovere i nostri obiettivi e soddisfare i nostri interessi personali ma, purtroppo, non è affatto così. Come mai? Tutta colpa dei bias cognitivi cioè di pregiudizi che non corrispondono necessariamente alla realtà sviluppati sulla base dell’interpretazione delle informazioni in nostro possesso.

Negli anni '70, gli psicologi israeliani Amos Tversky e Daniel Kahneman osservarono che le persone agiscono continuamente contro la loro razionalità ma che, in questo modo bizzarro di agire, era possibile riconoscere dei chiari schemi di comportamento perché tutti tendiamo a commettere gli stessi errori a ivello mentale e li facciamo più e più volte. Gli esseri umani sono irrazionali, sì, ma sono anche irrazionali in maniera prevedibile.

Ad oggi, gli studiosi del comportamento umano hanno identificato oltre 100 di questi errori mentali persistenti, chiamati pregiudizi cognitivi o bias. Trattando questo articolo di time management, in questa sede ci concentreremo sui pregiudizi cognitivi che hanno il maggiore impatto sul modo in cui utilizziamo il nostro tempo, diamo priorità ai compiti che dobbiamo svolgere e raggiungiamo i nostri obiettivi.

Il principio di urgenza

Per gestire bene il tempo, una delle prime cose da imparare è dare la priorità ai compiti che dobbiamo svolgere. Questo può diventare particolarmente difficile quando abbiamo un sacco di cose da fare e tutto sembra ugualmente importante. Sfortunatamente, quando ciò accade, alcune persone tendono a concentrarsi sui compiti più urgenti, invece che su quelli più importanti per colpa del principio di urgenza.
In base a cosa decisiamo le nostre priorità? Beh, se siamo affetti da questo bias, non in base al raziocinio perché il principio di urgenza ci spinge a dare la priorità ai compiti che percepiamo come urgenti rispetto a quelli che non lo sono, anche quando le ricompense per il compito non urgente sono oggettivamente maggiori. In altre parole, l'urgenza del compito vince ogni volta sulla sua importanza perché i compiti importanti sono più difficili da svolgere e, spesso più complessi da terminare mentre i compiti urgenti comportano una soddisfazione più immediata e certa.

Questo pregiudizio cognitivo spiega perché, nonostante le nostre migliori intenzioni, veniamo risucchiati dalla posta elettronica a scapito di un lavoro più impattante sui nostri risultati. L'email sembra invariabilmente urgente perché c'è sempre qualcuno in attesa di una risposta. Al contrario, dedicarci ai nostri obiettivi più importanti ci sembra non così determinante perché non ci sono conseguenze immediate nel rimandarli a domani.
La sensazione di avere un tempo limitato per completare un'attività può indurci a concentrarci sul tempo che abbiamo a disposizione per completarla, piuttosto che sui guadagni che potrebbero derivarne. Ed ecco perché scegliamo di svolgere compiti a basso valore che scadranno a breve termine e non attività di alto valore con tempistiche più lunghe. I guadagni sono lontani nel futuro e di solito incerti, specialmente per i compiti più importanti. Le date di completamento, al contrario, sono semplici da calcolare. Nel tempo, il nostro cervello tende a concentrarsi sulle scadenze come scorciatoia.

Chi è afflitto da questo bias cognitivo, dovrebbe utilizzare la matrice di Eisenhower che permette di dare la giusta priorità alle singole attività in modo razionale. La matrice di Eisenhower, infatti, è un modello per classificare i compiti in base a due fattori:

  • urgenti/non urgenti
  • importanti/non importanti

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La matrice aiuta a decidere cosa fare di un'attività, a seconda del quadrante in cui rientra. Bisognerebbe tenere da parte le 2-4 ore più produttive ogni giorno per il lavoro più importante, bloccando quel tempo libero sul calendario, in modo da potersi concentrare senza interruzioni.

Altri strumenti validi per ingannare questo bias sono il metodo dei compiti più importanti (MIT - Most Important Tasks) da riportare sulla to-do list per sapere da cosa iniziare a lavorare e il metodo della focalizzazione (Single Focus Method) mediante il quale ci si concentra su un lavoro per intervalli di tempo stabiliti e poi ci si regala una breve pausa.

L'effetto Zeigarnik

Siete mai stati interrotti nel bel mezzo di un compito e avete poi trovato difficile concentrarvi su qualcos'altro fino a quando non siete tornati a lavorare? Oppure avete provato a fare una pausa prima di completare un lavoro, solo per scoprire che non riuscivate a rilassarvi, perché il compito incompiuto continuava a girarvi nella mente? Questo è l'effetto Zeigarnik. In parole povere, è la tendenza a ricordare i compiti non completati meglio di quelli completati.

Negli anni '20, la psicologa lituana Bluma Zeigarnik, mentre era a cena in un ristorante, osservò una cosa strana:i camerieri erano in grado di ricordare ordini assolutamente complessi tuttavia, non appena veniva pagato il conto, i camerieri dimenticavano completamente quali fossero questi ordini. Questa semplice osservazione diede origine allo studio di quello che sarebbe diventato noto come effetto Zeigarnik che si riferisce alla nostra tendenza a ricordare i compiti incompleti o interrotti meglio di quelli completati.
Una volta che iniziamo un'attività, il nostro cervello sviluppa una tensione specifica per quell'attività e questa tensione migliora l'accesso cognitivo alle informazioni rilevanti, rendendo più facile per noi completarle. Questa tensione viene alleviata solo quando il compito è terminato. E' il trucco molto ben applicato dalle serie TV: l'episodio finisce in maniera brusca in corrispondenza di un colpo di scena e si rimane bloccati in un cliffhanger. L'intento è quello di indurre nello spettatore una forte curiosità circa gli sviluppi successivi e, quindi, il desiderio di guardare la puntata successiva.

A prima vista l'effetto Zeigarnik può sembrare un pratico adattamento: è bene ricordare le cose che dobbiamo fare ed è positivo voler finire le cose che iniziamo. Il problema, però, quando si tratta della nostra produttività e della gestione del tempo è duplice: innanzitutto, ogni compito incompleto che il nostro cervello ci ricorda assorbe un po' della nostra attenzione, suddividendola e rendendo più difficile concentrarci su ciò su cui stiamo attualmente lavorando. Quando teniamo più cose nella memoria a breve termine, dobbiamo riportarle alla mente continuamente, altrimenti scompaiono e questo richiede un grande sforzo cognitivo, anche se non ce ne rendiamo conto. In secondo luogo, anche se riusciamo a disconnetterci fisicamente dal lavoro, l'effetto Zeigarnik garantisce che i nostri compiti incompiuti ci seguano a casa e si intromettano nelle nostre cene in famiglia, nelle vacanze, nei nostri fine settimana e nel nostro sonno.

Ci sarà sempre del lavoro da fare. Abbiamo bisogno di un modo per trovare sollievo dall'effetto Zeigarnik e disconnetterci mentalmente durante le nostre ore di assenza dal lavoro.
La buona notizia è che non dobbiamo effettivamente completare tutti i nostri compiti per provare sollievo mentale dall'effetto Zeigarnik perché basta semplicemente fare un piano per completare le nostre attività. Invece di tenere i compiti nella nostra testa, prendiamo l'abitudine di scriverli non appena ci arrivano. Avere un sistema per organizzare e rivedere regolarmente i nostri compiti come, ad esempio, una to-do list è di grande aiuto. Prepariamo un piano per l'indomani prima di terminare la giornata lavorativa, in modo che i compiti non finiti non rimangano nella nostra mente dopo l'orario di lavoro.

L'effetto Zeigarnik può anche essere utilizzato a nostro vantaggio. Quando ci ritroviamo a rimandare un compito particolarmente grande o difficile, individuiamo un primo passo molto piccolo che possiamo fare. Il semplice atto di iniziare può far scattare nel nostro cervello la voglia di andare avanti fino alla fine.

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Il bias della pianificazione

Questo pregiudizio cognitivo si riferisce alla nostra tendenza a sottovalutare il tempo necessario per completare un'attività, pur sapendo che compiti simili in passato hanno richiesto più tempo per essere svolti di quello che stiamo pianificando. Impegnarsi a rispettare scadenze eccessivamente ottimistiche porta solo a un sacco di stress e senso di colpa inutili. Non possiamo rispettare le scadenze, ma non possiamo fare nulla senza utilizzarle, quindi come impariamo a conviverci?

Si può partire suddividendo i progetti in parti più piccole e stimando quanto tempo occorre per ciascuna di esse. Più piccole saranno le parti in cui riusciremo a suddividere il compito, più realistiche tenderanno ad essere le nostre stime relative al tempo per svolgerlo integralmente.

Oltre a questo, si può iniziare a lasciare il 20% della settimana libero da scadenze per svolgere il lavoro che abbiamo pianificato per quattro giorni e finisce per estendersi al quinto. È meglio pianificare tutto questo in anticipo, piuttosto che esserne sorpresi. Al massimo useremo il tempo che ci rimane per iniziare a lavorare su altro.

Ancora: utilizziamo i dati storici per fare previsioni migliori e iniziamo a monitorare il tempo necessario per completare effettivamente i nostri compiti.

La fallacia dei costi irrecuperabili o dell'avversione alle perdite

Il pregiudizio cognitivo relativo ai costi irrecuperabili è quello che ci fa terminare la lettura di un libro anche quando crediamo che sia orribile, cioè ci porta a continuare uno sforzo pensando agli investimenti passati che abbiamo fatto su di esso. I costi irrecuperabili sono tutti quei costi – tempo, energia o denaro – che abbiamo investito in passato e che non possiamo più recuperare, per questo ci sentiamo in dovere di andare avanti per fare in modo che quegli investimenti precedenti siano serviti a qualcosa. Il problema è che non facciamo altro che continuare a buttare via energie, tempo e denaro su qualcosa che non funziona.
A peggiorare le cose, la società ci dice che non mollare, anche quando capiamo che è del tutto inutile intestardirci su qualcosa, è una virtù perché chi rinuncia non vince mai. Ed ecco che teniamo un lavoro che ci rende infelici solo perché ci abbiamo dedicato tanti anni e teniamo in piedi una relazione perché ci abbiamo investito tante energie.

Cosa possiamo fare al riguardo? Iniziamo col rendere espliciti i costi e le opportunità. Ogni decisione dovrebbe considerare la quantità di denaro, tempo o energia che si investe e il vantaggio che si otterebbe dalla migliore alternativa a questa decisione. Ad esempio, quando consideriamo un cambio di carriera, tendiamo a concentrarci sui soldi a cui rinunceremmo. Non prendiamo in considerazione la gioia e la soddisfazione che attualmente stiamo perdendo rimanendo in un posto che non ci soddisfa. Il primo passo per contrastare questo bias che ci porta, tra le altre cose, a fare un cattivo time management è chiarire a quale alternativa stiamo rinunciando continuando a investire più tempo, energia e denaro in ciò che abbiamo già iniziato.

L'attualizzazione iperbolica o pregiudizio del presente

Le persone che lottano contro la procrastinazione conoscono molto bene il pregiudizio del presente che le spinge a scegliere una ricompensa più piccola ma immediata rispetto a una più grande di cui usufruire nel futuro. Il gelato ha un sapore migliore dei broccoli, anche se i broccoli fanno meglio alla nostra salute. Comprare vestiti nuovi è più divertente che risparmiare denaro per una pensione che percepiamo come lontana. Giocare ai videogiochi è più piacevole che lavorare.

Il bias del presente ci porta a ottimizzare costantemente il nostro divertimento attuale, rimandando in continuazione le cose più difficili che, però, migliorerebbero il nostro futuro.

Cosa possiamo fare al riguardo? Aiutiamo il nostro Sé futuro: se vogliamo alzarci presto al mattino e fare esercizio ma abbiamo la tendenza a restare a letto fino all'ultimo minuto, potremmo posizionare la sveglia lontana dal letto per costringerci ad alzarci per spegnerla e avere già i vestiti per l'allenamento preparati dalla sera prima. Se vogliamo concentrarci sul lavoro ma ci ritroviamo a vagare sui social, utilizziamo un programma che ci escluda tutte le distrazioni fino all'ora stabilita in precedenza. Se abbiamo difficoltà a risparmiare denaro, automatizziamo i prelievi destinati al conto di risparmio ogni mese, in modo che avvenga senza bisogno di pensarci.

Il pregiudizio cognitivo della complessità

Perché scegliere una spiegazione semplice quando ne abbiamo a disposizione una complessa? Il bias di complessità descrive la nostra tendenza a preferire spiegazioni e soluzioni complicate a quelle semplici. La complessità può rendere la vita interessante, come quando sviluppiamo rituali complessi per preparare una semplice tazza di caffè, tuttavia, i sistemi complessi sono più difficili da mantenere nel tempo.

Quando pensiamo che qualcosa sia difficile da fare o da capire, non ci proviamo nemmeno. Se crediamo che l'organizzazione del tempo nelle nostre giornate richieda un sistema complesso, è meno probabile che avremo voglia di sperimentare un sistema più semplice a cui potremmo avere una possibilità migliore di attenerci.

Il trucco è abbracciare la complessità quando ci piace davvero il processo, ma non lasciare che la complessità percepita ci impedisca di iniziare. Iniziamo a sviluppare una propensione all'azione rispetto alla ricerca. Non è necessario comprendere appieno un concetto per iniziare. Invece di cercare la conoscenza perfetta all'inizio, adottiamo un approccio iterativo ai nostri sforzi: proviamo le cose, guardiamo come funzionano e miglioriamo lentamente nel tempo. È il modo più veloce per imparare.

Ricordate il rasoio di Occam che afferma che, di fronte a due possibili spiegazioni, è molto probabile che quella che richiede il minor numero di ipotesi sia vera? Ecco...

L'adattamento edonico

Cosa ci impedisce di essere felici? Eh, sì...anche in questo caso si tratta di un bias cognitivo noto come adattamento edonico. Questo pregiudizio cognitivo è rappresentato dalla nostra tendenza a tornare rapidamente ai nostri normali livelli di felicità dopo eventi esterni sia positivi che negativi. Fissiamo degli obiettivi che crediamo ci renderanno felici e, una volta raggiunti, la nostra felicità è solo temporanea . A che serve lottare per raggiungere degli obiettivi se raggiungerli ci fa sentire vuoti, pochi istanti dopo?

In un'ottica di time management, proviamo a stabilire molti obiettivi più piccoli invece di uno solo grande. La maggior parte di noi si pone obiettivi grandi e lontani che raggiungeremo solo una volta ogni tanto: laurearsi, ottenere una promozione, correre una maratona. Trascorriamo molto tempo a perseguire un obiettivo che ci darà solo un momento temporaneo di felicità quando lo raggiungeremo mentre dovremmo imparare ad hackerare l'adattamento edonico, impostando obiettivi più piccoli e più frequenti per sperimentare aumenti di felicità più frequenti, anche se ancora temporanei.

Iniziamo anche a goderci il ??processo, non solo il risultato. Se stiamo cercando di perdere peso, cerchiamo di non essere ossessionati dal vedere un certo numero sulla bilancia. Assaporiamo la soddisfazione di sentirci più forti, più in forma, più veloci ogni giorno.

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