KAIZEN CONTRO KAKUSHIN

di Cristiano Martorella "Economia giapponese"

Un articolo sulla produzione industriale secondo il metodo kaizen che fu introdotto in Giappone come sistema di produzione in tempi di crisi, e divenne un cardine della filosofia industriale post-fordista.

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La nozione di kaizen (miglioramento), introdotta dai giapponesi nel sistema di produzione, comporta una revisione dei concetti occidentali alla base dell'idea di sviluppo industriale. Con l'adozione della logica del kaizen, si introduce un rapporto con il kakushin (innovazione) che può essere anche conflittuale.
Kakushin equivale al concetto espresso in inglese con il termine breakthrough, ed è la realizzazione di un progetto di trasformazione in una prospettiva futura. Esso comporta la rimozione di fattori d'ostacolo e il rinnovamento delle strutture di produzione.

I giapponesi non negano l'importanza dell'innovazione all'interno della fabbrica, ma la avvertono come una minaccia se essa non è interna a un processo di miglioramento continuo (kaizen).

Secondo Tanaka Minoru, l'autentica innovazione è il risultato della sommatoria del prodotto di kaizen e kakushin. Per i giapponesi, l'innovazione deve essere integrata al miglioramento, se non addirittura subordinata. Non si possono introdurre cambiamenti se la qualità del processo di produzione non è buona.
Innovare significa anche rompere la continuità del processo, obbligare a un salto, e sovente con gravi spese e perdite. Sarà sicuramente vero che le perdite presenti dovute all'innovazione vengono compensate e superate dai profitti che essa fornisce nel futuro. Ma questa logica non può essere sempre adottata, e dipende anche dal tipo di economia che la sostiene. Ammortizzare delle spese è possibile in un sistema che possiede ampie riserve. Non è sempre così.

E questo spiega il mancato decollo delle economie dei paesi sottosviluppati che non hanno la possibilità di sostenere un sistema industriale. L'idea dello storico ed economista Rostow, teneva presente appunto questa situazione. Il decollo dello sviluppo industriale (take off) deve avere alle spalle un'accumulazione di capitale e di risorse. L'economia giapponese del dopoguerra non godeva di tale condizione, e ha dovuto ricorrere a un sistema di produzione mirato ai propri mezzi ed esigenze.

Mentre Rostow, criticato aspramente da Gerschenkron, credeva che esistessero delle condizioni pregiudiziali per la crescita economica e un'unica tipologia di sviluppo, il Giappone dimostrava nei fatti che era possibile anche un modello diverso di organizzazione industriale. Ohno Taiichi ci ricorda come nel dopoguerra i giapponesi fossero consapevoli delle diverse condizioni in cui si trovassero, e che le loro scelte di economia aziendale non si potevano rifare a un'imitazione pedissequa del modello statunitense per loro improponibile.

Un'altra critica al kakushin (innovazione) è di tipo caratteriale ed emotivo. Gli occidentali hanno la tendenza a cambiare totalmente qualcosa che non funziona, buttando magari via un lavoro che necessitava di ritocchi, oppure che aveva in sé delle caratteristiche positive. Ricordiamo che il Walkman che oggi tutti noi conosciamo e usiamo, non è altro che la versione modificata e migliorata di un magnetofono portatile che era fallito miseramente, ma che fu ripreso da Morita Akio e lanciato sul mercato con successo inaspettato. Alla riluttanza nei confronti del kakushin (innovazione) corrisponde quindi un atteggiamento caratteriale. Ai giapponesi non piacciono le riforme che comportano cambiamenti drastici. E qui passiamo dal livello della produzione industriale a quello più articolato dell'economia finanziaria.

Le pressioni degli occidentali sul sistema giapponese per l'introduzione di riforme strutturali non ha mai portato a buoni risultati. Le lamentele degli analisti si sono fatte sentire con più forza a partire dagli anni '90. Un articolo di Robert Neff intitolato Fixing Japan, apparso su "International Business Week", sintetizzava bene le ragioni che spingevano a tali critiche.
Tuttavia il Giappone cambia, e spesso radicalmente, ma mai secondo le aspettative degli occidentali. In realtà le lamentele degli analisti occidentali sono giustificate. I giapponesi non applicano riforme, piuttosto si limitano a "miglioramenti".
Sarà pure significativo il fatto che nella storia del Giappone non è stata mai messa in discussione l'autorità dell'Imperatore, nemmeno nel periodo dello shogunato che vedeva il potere effettivo nelle mani del Generalissimo, riducendo la figura dell'Imperatore a una formalità. Tuttavia fu proprio un Imperatore del periodo Meiji (1868-1912), Mutsuhito, a spingere il Giappone al rinnovamento e all'adozione di quel sistema industriale che ha posto le basi della piena parità con le potenze occidentali.
Tutte queste stranezze non possono essere sempre additate all'arcaismo della struttura sociale giapponese.

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Ragionare in termini di miglioramento comporta uno scontro con l'idea stessa di sviluppo industriale. Joseph Schumpeter aveva individuato nelle innovazioni tecnologiche il meccanismo che consentiva lo sviluppo economico superando le crisi cicliche che porterebbero alla stasi di qualunque sistema economico.
Le innovazioni costituivano una sorta di volano per l'economia introducendo un elemento inaspettato e non presente nelle variabili delle funzioni matematiche: l'intelligenza umana.
Ma l'introduzione del sistema giapponese di produzione ha comportato un modo diverso di vedere la realtà. Ed è difficile negare che non sia cambiato profondamente anche lo sviluppo storico ed economico.
Probabilmente dovremo aspettare la conclusione di questi processi per capire seriamente il fenomeno. Sono trascorsi pochi decenni dai cambiamenti di cui abbiamo parlato, ed è eccessivo pretendere di descrivere tali processi come se fossero già conclusi. Finora molte previsioni degli economisti non si sono realizzate, e il Giappone resta ancora una incognita indisponente per chi vorrebbe vedere il mondo governato dall'omogeneità dello sviluppo economico.

(Fonte: Economia giapponese)

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