LA PRODUZIONE SNELLA APPLICATA

 

 

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Nei giorni scorsi, il Corriere della Sera ha pubblicato due articoli che ci raccontano la storia di alcune aziende che hanno applicato i principi della Produzione snella nei propri stabilimenti.

Il primo esempio che viene citato, e quello che prenderemo in esame noi, è quello di di Biesse, un'impresa che dal 1969 produce macchine per la lavorazione di legno, vetro e pietra e che è riuscita ad aumentare la propria capacità produttiva, riducendo, allo stesso tempo, i tempi di lavorazione, e diminuendo gli spazi operativi.
Ciliegina sulla torta è stata la forte riduzione dei costi che sempre dovrebbe accompagnare un intervento di lean manufacturing ben gestito.

Biesse descrive l'introduzione della metodologia "snella" come una vera e propria rivoluzione che ha portato allo sviluppo di una nuova cultura d'impresa in grado di migliorare l'efficienza e di trasformare la caccia agli sprechi in un imperativo categorico.

«Confesso che neanch'io credevo che questa scelta potesse realizzare cambiamenti positivi in tempi relativamente brevi» esordisce Roberto Selci, presidente di Biesse.

Gli interventi da mettere in piedi, nonostante gli ottimi fatturati, certo non mancavano. All'epoca lo stabilimento di Pesaro adottava un sistema di produzione push ("spinta" verso il cliente, un concetto del tutto opposto alla produzione di tipo "pull", "tirata" dal cliente), con la presenza di numerose «isole» produttive. Ognuna, però, agiva in maniera indipendente.
Risultato? Un mancato coordinamento e una sovraproduzione, che determinava sprechi di aree operative e di materiali.

In solo 8 settimane di screening , di formazione del personale e di introduzione di nuovi processi produttivi, l'azienda marchigiana è stata rifondata.
«All'inizio - continua il presidente - una parte del personale guardava perplesso i colleghi impegnati in questa rivoluzione. Col tempo, hanno compreso che anche un'idea diversa dalla loro può essere vincente. E oggi i risultati sono evidenti. Abbiamo attuato un processo standardizzato, valido in tutte le componenti aziendali. Così, la nostra produttività è aumentata del 30%, commercializziamo in 100 paesi nel mondo, il tempo risparmiato è pari al 55% e l'area occupata dallo stabilimento è diminuita del 45%. Naturalmente tutto ciò ha inciso sui costi. Basti pensare che, con la riduzione degli spazi operativi sin qui utilizzati, oggi possiamo vendere un'area di 12 mila metri quadrati».

Un bel risultato se pensiemo che, dati del Corriere della Sera, lo scorso anno le aziende tricolore hanno avuto un calo medio del giro d'affari che oscilla tra il 20 e il 40%.
Considerato che nel 2010 gli indicatori dicono che la ripresa sarà molto lenta, le piccole e medie imprese si trovano nella condizione di dover ripensare la loro struttura produttiva.

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Il timore più diffuso è che le aziende debbano essere costrette a ridurre il personale per adeguarlo ai nuovi (e più esili) livelli produttivi. L'anno scorso e per alcuni mesi di questo ci sarà la cassa integrazione a proteggere l'occupazione, ma non potrà durare a lungo. E allora bisognerà studiare soluzioni, progetti alternativi che possano scongiurare, o perlomeno attutire, l'emergenza occupazionale.

La strada giusta da percorrere sembra proprio quella di seguire il modello Toyota, percorrendo strade alternative e non abbassando mai il livello qualitativo perché c'è sempre qualche spreco nel sistema produttivo che può essere eliminato con eccellenti ricadute sui costi.

Del resto, resistere sul territorio senza delocalizzare è una tendenza che sembra prendere sempre più piede tra le aziende italiane: gli analisti segnalano addirittura un rientro delle imprese che erano andate all'estero per ammortizzare i costi del lavoro. Il risultato è stato spesso quello di avere una qualità ridotta che è stata puntualmente penalizzata dai mercati. Persino le aziende del settore moda cominciano a guardare con attenzione al rientro alla base delle strutture produttive.
Insomma sembra confermarsi la tesi secondo cui il costo del lavoro alto può essere comodamente compensato dal contenimento degli sprechi produttivi e dall'alta qualità della lavorazione.

(Fonte: Corriere della Sera)
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