L'ARTE DELLA CRITICA

di Daniel Goleman

Vi presentiamo un estratto del libro "Leadership emotiva di Daniel Goleman pubblicato da BUR - Biblioteca Universale Rizzoli. Buona lettura!

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(Tratto dal libro: "Leadership emotiva di Daniel Goleman pubblicato da BUR - Biblioteca Universale Rizzoli)

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L'arte della critica

Il protagonista di questo aneddoto era un ingegnere di provata esperienza, coordinatore di un progetto per la messa a punto di un nuovo software . Dopo lunghi mesi di sforzi si trovò a illustrare i progressi della sua squadra al vicepresidente dell'azienda che seguiva lo sviluppo dei nuovi prodotti. Insieme a lui c'erano gli uomini e le donne che, settimana dopo settimana, si erano impegnati a fondo al suo fianco: erano orgogliosi di mostrare ai superiori il frutto delle loro fatiche.

Quando l'ingegnere ebbe fjnito di parlare, però, il vice­ presidente gli si rivolse in tono sarcastico: «D ica un po' , quanti anni fa si è laureato, lei? Le specifiche del suo programma sono ridicole. Così com'è, questo progetto finisce dritto in un cassetto» .
L ingegnere, profondamente mortificato e avvilito, rimase in silenzio per il resto della riunione, perso in una cupa meditazione. I membri della sua squadra cercarono di difendere il proprio operato, però furono in pochi ad aprire bocca, e quei pochi parlarono senza grande convinzione oppure con atteggiamento ostile. A quel punto il vicepresidente venne convocato per un'urgenza e la riunione si interruppe bruscamente, in un'atmosfera di amarezza e frustrazione.

Per due intere settimane l'ingegnere non riuscì a togliersi dalla testa le parole sarcastiche del vicepresidente. Si sentiva scoraggiato e depresso, era certo che l'azienda non gli avrebbe mai più affidato un incarico importante. Pensò seriamente di licenziarsi, anche se quel lavoro gli piaceva.
Dopo lunghe esitazioni, chiese un appuntamento al vicepresidente e gli ricordò l'accaduto, citando le sue critiche e il loro effetto demoralizzante. A quel punto, soppesando attentamente le parole, si azzardò a domandare: «Non sono del tutto sicuro di aver capito che cosa lei pensasse di ottenere parlando in quel modo. Immagino che non le interessasse solo farmi fare una pessima figura. Dove voleva arrivare, esattamente?».

Il vicepresidente rimase esterefatto. Mai e poi mai avrebbe creduto che le sue parole, lasciate cadere come una sorta di battuta, potessero sortire un effetto così devastante. Anzi, il progetto per il nuovo software gli sembrava promettente: sarebbe bastato lavorarci ancora un po' . Farlo a pezzi non era stata la sua intenzione: non era vero che il programma non valeva niente. Semplicemente, non si era reso conto di essersi espresso in modo indelicato e di aver ferito i sentimenti altrui.
Si scusò per quell'episodio: meglio tardi che mai. Il tutto si riduce a una questione di feedback, cioè di riscontri: si tratta di far passare in modo chiaro le informazioni di cui un gruppo ha bisogno per continuare a lavorare in modo efficiente.

Nella sua accezione specifica, introdotta dalla teoria dei sistemi, il feedb ack (informazione di ritorno o retroazione) indica uno scambio di dati in merito al funzionamento di un sottosistema interconnesso con tutti gli altri, tale da consentire di correggere il tiro quando un elemento rischia di sfuggire di mano.
I dipendenti di una società sono parti di un sistema, per cui si può dire che il feedback sia la linfa vitale di qualunque organizzazione: è quello scambio di informazioni che consente ai collaboratori di sapere se il loro lavoro è efficace o se invece alcuni aspetti vanno corretti o migliorati.
A volte sarà necessario cambiare completamente rotta. Lasciate senza riscontri, al contrario, le persone brancolano nel buio: non hanno idea di quello che il capo o i colleghi pensano di loro, non sanno con certezza che cosa ci si attende dal loro contributo, e il problema non fa che peggiorare con il passare del tempo.

Formulare critiche è in un certo senso il più importante e delicato tra i compiti di un manager. Eppure è anche il più temuto e quello che viene più spesso rimandato. Come mostra l'esempio del vicepresidente sarcastico, troppi manager sono incapaci di gestire l'arte di fornire riscontri utili. E questo non è un problema trascurabile, anzi: proprio come il benessere emotivo di una coppia dipende dalla capacità dei partner di formulare in termini costruttivi le loro rimostranze, l'efficacia, la soddisfazione e la produttività dei dipendenti di un'azienda è legata al modo in cui i superiori richiamano la loro attenzione sui problemi spinosi.

La soddisfazione di un collaboratore nei confronti del proprio lavoro, dei colleghi e dei suoi diretti superiori è determinata in larga misura proprio dal modo in cui le critiche vengono formulate e accolte.

Il modo peggiore di motivare una persona

Le dinamiche emotive che reggono un matrimonio si ritrovano con differenze minime in qualunque posto di lavoro. Spesso le critiche vengono formulate come attacchi personali, piuttosto che come indicazioni per il futuro. A volte si arriva alla denigrazione, condita con genero se dosi di disgusto, sarcasmo e disprezzo.
In entrambi i casi si scatenano istintive reazioni di difesa e sorge la tentazione di scaricare le responsabilità su altri, finché il soggetto, amareggiato, non si trincera in una resistenza passiva accompagnata da un senso di ingiustizia.

Una delle forme più comuni e tuttavia deleterie di critica sul posto di lavoro, spiega un consulente d'impresa, è data dalle generalizzazioni vuote del tipo «Stai combinando un casino», magari buttate lì in tono brusco, ironico e spazientito. Da un lato chi riceve la critica non ha modo di rispondere, dall'altro ne sa quanto prima: nessuno gli ha spiegato che cosa non va e come rimediare. È naturale che si senta confuso e risentito.
In termini di intelligenza emotiva, chi formula critiche di questo tipo appare del tutto incapace di prevedere i sentimenti che le sue parole risveglieranno, per non parlare degli effetti devastanti di quei sentimenti sulla motivazione, l'energia e la fiducia in se stesso nel destinatario.

Questa dinamica negativa è emersa con chiarezza nel corso di un sondaggio che ha coinvolto un gruppo di manager, ai quali i ricercatori hanno chiesto di ricordare circostanze in cui era capitato loro di perdere le staffe e aggredire verbalmente un subordinato. Gli effetti di quegli scatti d'ira erano gli stessi che si osservano in un matrimonio. La reazione più frequente era un moto di difesa: il collaboratore accampava scuse o rifiutava di assumersi responsabilità, oppure si chiudeva in se stesso e da quel momento si sforzava di evitare a ogni costo di avere a che fare con il dirigente che aveva fatto la voce grossa. Questo atteggiamento tende a irritare ed esasperare ancora di più i superiori, innescando un circolo vizioso che può avere un solo epilogo : il licenziamento o le dimissioni, l'equivalente professionale di un divorzio. Anzi, da uno studio condotto su 108 tra manager e impiegati è emerso che le critiche inopportune sono la principale ragione di conflitto sul posto di lavoro, seguite da sospetti, rivalità personali, dispute per il potere e dissapori sul livello di retribuzione.

Un esperimento coordinato dal Politecnico di Rensselaer mostra fino a che punto una critica troppo sferzante possa compromettere un rapporto di lavoro. Nel corso di una simulazione un gruppo di volontari era stato incaricato di ideare una nuova campagna pubblicitaria per uno shampo. Un altro volontario (complice dei ricercatori) era chiamato a valutare le proposte, ma in realtà rivolgeva ai collaboratori l'uno o l'altro di due tipi di critica concordati in precedenza con gli studiosi. Una era specifica e articolata con tatto. L'altra era minacciosa e chiamava in causa le presunte carenze innate della persona. Per esempio: «Lei non ci ha neanche provato; le riesce mai di combinarne una giusta?», oppure: «Suvvia, lei non è portato per queste cose. Vedrò di farlo rifare a qualcun altro».
Come da previsioni, i destinatari di questo secondo tipo di critiche tendevano a sviluppare atteggiamenti rabbiosi e antagonistici, rifiutandosi di collaborare ad altri progetti o esperimenti se fosse stata coinvolta la persona che li aveva criticati . Molti ammisero la tentazione di troncare ogni rapporto con lei, in altre parole si stavano trincerando in se stessi. Quelle critiche brutali li demoralizzavano al punto tale che non solo rinunciavano a mettercela tutta, ma iniziavano perfino a dubitare della propria capacità di svolgere bene l'incarico, il che è ancora peggio. Gli attacchi personali avevano un impatto fortemente negativo sul morale dei volontari.

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Molti manager hanno la critica facile, ma sono avari di lodi, e finiscono per dare ai propri subordinati l' impressione di aprire bocca soltanto per contestare i loro errori. In molti casi a tale propensione si aggiunge l'incapacità di fornire per tempo riscontri utili. «Quando il lavoro di un dipendente presenta dei difetti non si tratta quasi mai di cadute improvvise, bensì di problemi che si vanno aggravando nel tempo» osserva J .R . Larson, psicologo dell'Università di Urbana (Illinois) . «Quando un superiore rinuncia a formulare le sue riserve con tempestività, inizia anche ad accumulare sentimenti di frustrazione, finché un giorno esplode e dà in escandescenze. Se avesse avanzato le sue critiche al momento giusto il problema sarebbe stato risolto fin dall'inizio. Troppo spesso, però, le critiche arrivano solo quando il danno si è fatto irreparabile o quando chi critica è ormai esasperato e non riesce più a controllarsi. È proprio in momenti come questi, però, che le critiche tendono a venire porte nel modo peggiore: ci si esprime con sarcasmo e crudeltà, si chiama in causa una lunga lista di rimostranze mai formulate prima, si minaccia.

È inevitabile che attacchi tanto crudi si ritorcano contro l'aggressore. Vengono percepiti come un affronto, e il destinatario di simili critiche di rimando si infuria. Non c'è modo peggiore di motivare una persona.»

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