I DANNI DI UN CATTIVO FEEDBACK

Staff di QualitiAmo

Far capire a chi lavora con noi come lavora è importante ma va fatto nel modo giusto

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Indipendentemente da quanto impegnati siano certi manager, le organizzazioni avvedute pretendono che essi diano periodicamente un feedback ai collaboratori in modo che questi siano informati su quali aspetti professionali debbano migliorare e quali, invece, soddisfino in pieno i loro superiori.

Questo tipo di riscontri può essere annuale o avvenire più frequente (una volta a semestre o a quadrimestre) a seconda del periodo che sta vivendo l'organizzazione e dello sviluppo che sta affrontando la singola risorsa umana.
In ogni caso questi appuntamenti formali spesso possono richiedere un sacco di tempo e di attenzione per gestire al meglio questa tipologia di comunicazione che, per essere davvero efficace, deve essere ben strutturata.

Un feedback che non sia ben strutturato, infatti, porta ad affermazioni che sicuramente molti di voi avranno già sentito all'interno delle loro organizzazioni:

  • "Lo fanno solo perché devono"
  • "E' solo un proforma. Spesso nemmeno parlano con le persone"
  • "E' qualcosa che viene fatto sempre in ritardo, all'ultimo minuto e senza dedicare all'attività la necessaria attenzione"
  • "E' tutto fumo negli occhi"
  • "I feedback sono troppo vaghi, poco ancorati alla realtà"
  • "I feedback sono troppo specifici, arrivano a menzionare cose accadute mesi e mesi fa che nessuno si ricorda nemmeno più"
  • "I feedback vengono dati da persone che non lavorano mai con me "
  • "I feedback sono focalizzati su cose che non sono sotto il mio controllo. Come si può pretendere di venire giudicati in base a qualcosa che non dipende da noi?"

...e così via.
Vi ricorda qualcosa?

In generale, questi feedback ufficiali tendono a ricadere in uno di questi due estremi. Da un lato si concentrano su un giudizio altamente soggettivo ma senza che questo venga accompagnato da una rilevazione regolare e quotidiana di eventuali problematiche. Questo giudizio tende ad essere, quindi, poco calato nel contesto e a riflettere solamente ciò che un manager osserva sporadicamente.
Ancora più comune è l'altra estremità dello spettro, quella in cui i giudizi si basano sugli elementi che vengono raccolti nei report settimanali e mensili e dai quali si possono dedurre alcuni dati relativi alle prestazioni dei collaboratori. Ai manager, generalmente, vengono affidati obiettivi di performance (di solito articolati in numeri) che vanno a coprire tutte le dimensioni del loro operato. L'intenzione, molto degna, è quella di porre l'accento su risultati concreti e misurabili. Il problema è che, spesso, questi numeri vengono poi utilizzati per innescare una valanga di recriminazioni (o lodi) nei confronti degli uomini ritenuti responsabili dei dati evidenziati anche se ciò che viene misurato a volte non è direttamente collegato ai singoli dipendenti.

Sono sempre di più le organizzazioni che si stanno muovendo verso una qualche forma di ranking forzato dei collaboratori e che richiedono ai manager valutazioni schiette dell'operato di ogni dipendente. Purtroppo, anche se questo tipo di valutazioni è la chiave per diventare un'organizzazione migliore, rischiano di diventare un puro esercizio annuale di congetture se i singoli manager non si impegnano a monitorare, misurare e documentare l'operato di ogni dipendente su base continuativa. Una, due o tre volte all'anno non fa la differenza.

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Quando il manager non controlla con una presenza costante le prestazioni effettive di ciascun dipendente, eventuali giudizi positivi o negativi rischiano di non essere abbastanza chiaramente collegati alle performance di ogni individuo e c'è il pericolo che il sistema venga percepito come capriccioso e ingiusto.

PER SAPERNE DI PIU':

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Terminologia: feedback