METODO E TECNICHE DI REDAZIONE DEL
RICORSO AL T.A.R. - LA SPIEGAZIONE DI
UN METODO E DI UNA SERIE DI PROCEDURE
UNIVERSALI APPLICABILI A DIVERSI CAMPI.
SEGUIRE UN PERCORSO COMPLESSO
PARTENDO DA DETTAGLI ALL'APPARENZA
INSIGNIFICANTI.
L'IMPORTANZA DELLA SCRIVANIA - 2

di Francesco Turrini Dertenois

La spiegazione di un metodo e di una serie di procedure universali applicabili a diversi campi: seguire un percorso commplesso partendo da dettagli all'apparenza insignificanti

METODO-TECNICHE-REDAZIONE-DEL-RICORSO-AL-TAR

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(Prima parte)

Non tutti concordano sull’importanza dell’ordine: Gabriele, il personaggio interpretato da Marcello Mastroianni in “Una giornata particolare”, di Scola, dice: «L’ordine è la virtù dei mediocri», e più autorevolmente pare che addirittura Albert Einstein abbia affermato: «Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa sarà segno allora una scrivania vuota?»
Pur ammettendo che queste critiche sono suggestive, non credo che chi deve notificare un ricorso in sessanta giorni si possa permettere di vagabondare mentalmente da un problema all’altro. Preferisco seguire il suggerimento del padre di Clay Carter (N.d.A. "Il re dei torti", John Grisham, Mondadori, 2004) : «Una scrivania organizzata è indice di una mente organizzata. Se in trenta secondi non trovi una cosa che cerchi, stai perdendo soldi, gli ripeteva sempre».

Quando il disordine sulla scrivania diventa una costante della nostra vita professionale, anziché un evento anomalo, le cose peggiorano perché ci abituiamo e iniziamo a trovarlo normale; tuttavia, inevitabilmente, il disordine, oltre a farci perdere del tempo, prima o poi ci farà anche commettere un errore.

In alcuni casi si spediscono al cliente A le cose che dovevano andare al cliente B.
Se il cliente A è cortese te le rimanda indietro con un biglietto del tipo: «gentile avvocato, la Sua segretaria deve avermi inviato per errore un documento relativo ad un’altra pratica» (mi è realmente successo) . Se invece è normale non ti avvisa neanche ma si fa un’opinione più esatta delle tue capacità.

Ho letto che i tragici incidenti degli Shuttle Columbia e Challenger, in cui morirono quattordici astronauti, sono in ultima analisi attribuibili alla c.d. “sindrome della normalizzazione dell’anomalia”. Di che si tratta? Gli studiosi delle scienze dell’organizzazione chiamano così un atteggiamento che si colloca a metà tra la pigrizia e l’incoscienza, e che porta a reagire ad un fatto assolutamente anormale come se fosse ordinario solo perché, essendosi già verificato in passato, non ha prodotto guasti seri.
Attenzione: non ha ancora prodotto guasti seri.

Sembra infatti che il Columbia, prima dell’ultimo fatale incidente, almeno in altre quattro volte avesse già perso dei pezzi di materiale isolante dal serbatoio esterno durante il decollo, senza tuttavia causare danni. Gli incidenti, perché di incidenti si trattava, erano stati giudicati innocui.
Ma anche nel caso del Challenger si sapeva che i giunti dei razzi ausiliari non erano adeguati: tuttavia il fatto che non avessero dato problemi nei voli precedenti aveva creato una falsa sicurezza sull’irrilevanza del problema.
Quindi, se si verifica un’anomalia, bisogna affrontarla e risolverla, indipendentemente dagli effetti negativi concretamente verificatesi in quell’occasione.
Se siamo abituati ad avere la scrivania coperta di carte e nonostante ciò non abbiamo mai perso niente, è comunque tempo di mettere in ordine. Ricordiamo l’insegnamento degli studiosi del Kaizen secondo i quali il modo di dire: «tutto è bene quel che finisce bene» non è affatto vero. Se qualcosa va a finire bene nonostante si sia verificato un problema dipendente da noi, dobbiamo essere consapevoli che abbiamo fallito e che dobbiamo migliorare. Se, nonostante il fatto che la nostra scrivania sia sempre coperta di carte, non abbiamo ancora perso niente, non culliamoci nella tranquillità di questo fatto: mettiamo subito in ordine.

Un amico che lavora a Londra mi ha detto che nella sua azienda vige la “Clean Desk Policy”, ovvero la regola per cui quando hai finito di lavorare la tua scrivania deve essere in ordine, pulita.
Quali sono i vantaggi di questa regola?
Sicurezza dei dati presenti sulla scrivania: evitiamo di lasciare in esposizione documenti che potrebbero contenere informazioni delicate; buona impressione su chi passa e vede le stanze; migliore efficienza: se ogni giorno perdiamo cinque minuti a cercare fogli sepolti alla fine dell’anno avremo bruciato settimane di lavoro; riduzione del consumo di carta: quante volte ristampiamo qualcosa di cui siamo certi di avere già una copia?

Allora, se mentre stiamo lavorando ad un fascicolo arriva un fax, una busta, oppure ci viene per associazione mentale un’idea da usare in un’altra pratica cosa facciamo?
Ci fermiamo, prendiamo il pezzo di carta e lo mettiamo nel fascicolo giusto o comunque da un’altra parte. Magari per terra ma NON sulla scrivania.
Mildri Kikuchi, direttore della Ayase, è convinto che spazzare, pulire e fare altri lavori domestici sia il punto di partenza di ogni attività di miglioramento.
Sebbene fare pulizie possa sembrare facile, ciò è uno degli ostacoli più difficili. Fare le pulizie significa eliminare le sostanze non necessarie e se gli impianti sono tenuti puliti è più facile localizzare i guasti. Infatti fare le pulizie è normalmente considerato come un processo di controllo dei punti più facilmente soggetti a guasti.
Una volta che gli operai hanno preso l’abitudine di spazzare e pulire il proprio posto di lavoro, essi hanno appreso la d isciplina.
Durante il primo mese di TPM (Total Productive Maintenance) ogni persona dello stabilimento – dal dirigente all’operaio – spazzava e puliva il proprio luogo di lavoro un venerdì pomeriggio sì e uno no. In quel periodo la fabbrica non lavorava al massimo delle proprie capacità e i dipendenti avevano tempo a sufficienza per dedicarsi alle pulizie. Quando la fabbrica cominciò ad essere più pulita – e più sicura – gli operai dimostrarono di avere un maggior rispetto dei loro impianti e si offrirono a ddirittura come volontari per fare pulizie durante le ferie estive. Quando lo stabilimento aumentò le proprie attività e la maggior parte delle operazioni di pulizia dovette essere condotta fuori orario di servizio, la direzione cominciò a pagarle come lavoro straordinario.
Nella seconda fase gli operai cercarono di localizzare i guasti imparando a distinguere tra quelli che potevano essere risolti da loro stessi e quelli per cui era necessario l’intervento di esperti. Precedentemente era abitudine lasciare che di ogni guasto si occupasse la squadra manutenzione. Gli operai erano invece stati addestrati e motivati a fare da soli le riparazioni più semplici. Anche in questa fase gli operai notarono diverse perdite di olio che non erano mai state notate prima. Gli operai controllarono un totale di 240 mila tra dadi e bulloni, li strinsero e poi li segnarono con una striscia di vernice bianca che copriva sia il dado che il bullone. Oggi, quando l’operaio dedica gli ultimi minuti del proprio turno di lavoro alle pulizie, è sufficiente che egli controlli che la linea bianca del bullone e quella del dado siano allineate (il che vuol dire che il bullone è ben avvitato).
Nel corso di tre anni, vennero localizzati novemila punti critici sui macchinari, e furono aggiunti 130 nuovi dispositivi di sicurezza. Sebbene fossero già stati usati degli interruttori di sicurezza, non era stato mai fissato un criterio per la loro installazione o il loro uso. I dispositivi installati allora alla Ayase furono 1467. Il numero di guasti ai macchinari (guasti che hanno causato un’interruzione della linea di produzione per tre minuti o più) fu portato da mille al mese (prima dell’applicazione del TPM) a soli 200. Allo stesso modo, le perdite di olio furono ridotte da 16 mila a tremila litri al mese. Il reparto manutenzione, lungi dall’essere messo a riposo, vide trasformate le proprie mansioni: iniziò a fare diagnosi sullo stato degli impianti, a effettuare lavori di manutenzione più sofisticata e ad addestrare gli operatori alle macchine a fare da sé la manutenzione ordinaria 30 .

Nel caso di Gambadilegno, la decisione del Comune di Topolinia che lo danneggia consiste nella volontà di demolire il suo frantoio: il nostro ricorso dovrà quindi dimostrare al TAR che quel provvedimento è illegittimo, che la decisione dell’Amministrazione è scorretta.
Dato che abbiamo il vantaggio di poter seguire la vicenda di Gambadilegno fin dall’inizio il lavoro di organizzazione del fascicolo è molto semplice. Gambadilegno, venendo in studio ci ha portato una cartellina contenente 27 documenti 31 . Pertanto, dopo aver “battezzato” un nuovo fascicolo scrivendovi sulla copertina “Gambadilegno/C. di Topolinia”, vi inseriamo una prima sotto-fascetta denominata “documenti” in cui mettiamo tutto il materiale portatoci dal cliente, ed una seconda chiamata “corrispondenza e varie” in cui inseriamo i tre mandati 32 firmati da Gambadilegno al termine della riunione, oltre ad un foglio in cui abbiamo annotato i recapiti del cliente e del suo geometra.

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