COME RIUSCIAMO A NON ESSERE FELICI
NEL NOSTRO AMBIENTE DI LAVORO - 3

Avete mai pensato che spesso siete proprio voi a sabotare la
felicità che potreste provare al lavoro? Recentemente HBR
ha trattato l'argomento e ci è sembrato interessante
riproporvi le loro riflessioni


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(Prima parte)

(Seconda parte)

Come possiamo fare per liberarci da queste "trappole" che ci portano ad essere infelici?

Il primo passo per uscire da queste trappole che ci portano ad essere infelici nel mondo del lavoro è accettare il fatto che tutti ci meritiamo di essere professionalmente felici. Ciò significa rinunciare all'idea secondo cui il lavoro non vada inteso come una fonte primaria di realizzazione.
Per secoli il lavoro è stato semplicemente un mezzo per allontanare lo spettro della fame: si lavorava per guadagnarsi i soldi necessari a stare bene e a fare stare bene la famiglia. A dirla tutta, anche oggi molte persone lottano ancora contro salari bassi e condizioni di lavoro orribili e per loro è molto più difficile aspirare, purtroppo, alla piena realizzazione professionale perché la cosa davvero importante è strappare ogni mese quei pochi soldi necessari ad andare avanti. La cosa sorprendente, però, è il fatto che anche dirigenti di successo, a volte, non riescano a trovare un vero significato in ciò che fanno e, di conseguenza, diventino preda di quei meccanismi perversi che abbiamo visto prima e che conducono inevitabilmente ad essere professionalmente infelici.

Il lavoro può essere una fonte reale di felicità e, che ci crediate o meno, molto dipende davvero da voi.

Ma come si può definire un lavoro capace di renderci felici?
Gli esperti concordano sul fatto che si tratti di un buon mix tra una professione che ci permette di provare una quotidiana gioia nel recarsi al lavoro, condita da una buona dose di passione alimentata dall'aver trovato uno scopo in quello che si fa, una previsione per il futuro piena di speranza e qualche amicizia solida nel mondo professionale.
Per abbracciare queste componenti della felicità, però, dobbiamo prima di tutto approfondire i driver molto personali e le abitudini che ci impediscono di incoraggiarle.

Perché lavoriamo tutto il tempo? La nostra ambizione e il nostro desiderio di realizzarci ci tornano utili o finiscono per farci del male? Perché siamo intrappolati in ciò che sentiamo di dover fare e non ci dedichiamo attivamente a cercare di fare ciò che davvero vogliamo fare nella vita?
Per rispondere a queste domande, dobbiamo ricorrere alla nostra intelligenza emotiva.

Negli ultimi decenni, psicologi e ricercatori sono arrivati alla conclusione che ci sono 12 competenze relative all'intelligenza emotiva che possono aiutare a evitare o a liberarsi dalle trappole della felicità.
Ricordiamole brevemente:

  • visione positiva della vita;
  • orientamento al risultato;
  • adattabilità;
  • autocoscienza emotiva;
  • empatia;
  • capacità di influenzare gli altri;
  • gestione dei conflitti;
  • autocontrollo;
  • leadership ispirazionale;
  • lavoro di squadra;
  • consapevolezza organizzativa;
  • coaching e mentoring

In particolare, sono molto utili soprattutto l'autocoscienza emotiva, l'autocontrollo e la consapevolezza organizzativa.

L'autocoscienza emotiva è la capacità di notare e comprendere i propri sentimenti e gli stati d'animo per riconoscere come influenzino i nostri pensieri e le nostre azioni. Potremmo capire, per esempio, che il disagio che proviamo nello svolgimento di un lavoro che riteniamo di dover fare (come, ad esempio, rispondere alle e-mail alle 20:00 o durante il fine settimana) segnali il fatto che abbiamo paura di essere esclusi dal nostro ambiente professionale qualora non rispondessimo immediatamente a ciò che ci viene chiesto. Andando un po' 'più in profondità, molto probabilmente, ci accorgeremmo che questa paura ha poco o niente a che fare con la nostra reale situazione lavorativa e che si tratta più semplicemente di una vecchia abitudine mentale della quale possiamo tranquillamente sbarazzarci.

L'autocoscienza è un buon inizio ma non basta perché bisogna anche agire. È qui che entra in gioco l'autocontrollo che ci permette di tollerare il disagio che insorge quando cerchiamo di resistere a un'abitudine che riteniamo dannosa per la nostra felicità professionale. Ad esempio, se controllare la nostra e-mail lavorativa di notte o di domenica ci fa sentire a posto, sarà difficile rinunciarci di punto in bianco ma dobbiamo riuscire a farlo se non vogliamo ritrovarci bloccati in una situazione che non ci piace.
L'autocontrollo ci consente anche di intraprendere azioni che potrebbero non rientrare del tutto nella nostra comfort zone.

La consapevolezza organizzativa, infine, non è altro che una comprensione approfondita del nostro ambiente di lavoro e ci può aiutare a distinguere tra ciò che proviene da noi e ciò che ci arriva dagli altri colleghi o dai nostri superiori. Ad esempio potrebbe portarci a capire che non è l'insicurezza che ci spinge a leggere le e-mail di lavoro fuori orario ma la consapevolezza che i nostri colleghi facciano la stessa cosa. In definitiva, il nostro atteggiamento potrebbe derivare dalla pressione legata al conformarci alle abitudini di chi ci circonda per otto ore al giorno.

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(Vai all'articolo che descrive il primo libro)

(Vuoi restare aggiornato gratuitamente sulla ISO 9001:2015? Visita ogni giorno la pagina che ti abbiamo linkato. Riporteremo quotidianamente tutti i nostri articoli sulla norma)

A questo punto ognuno di noi ha una scelta importante da fare: può coraggiosamente decidere di smettere di lavorare troppo e male, oppure può continuare a comportarsi in un modo che è in conflitto con i suoi valori andando inevitabilmente incontro a danni per la propria salute e per la vita familiare.

PER SAPERNE DI PIU':
Il principio di Pareto applicato alle persone