LA TRAPPOLA DELL'ADULAZIONE: COME LA RICERCA DI APPROVAZIONE INCONDIZIONATA MINA IL QUALITY MANAGEMENT

I pericoli del pensiero di gruppo per la qualità

la trappola dell'adulazione nel quality management

Parliamoci chiaro: il quality management, al di fuori di chi vi lavora, è un po' come la dieta. E sapete qual è il primo nemico di una buona dieta? Non è il cioccolato. Non è nemmeno la pizza a mezzanotte. È quell'amica che vi dice "Ma no, sei perfetta così!". Ecco, nelle nostre aziende funziona esattamente nello stesso modo.

I dipendenti in certi ambienti diventano un po' come adolescenti a una festa: terrorizzati all'idea di dire la cosa sbagliata. "E se dico che questa presentazione fa schifo? Mi metteranno da parte, come è successo con Silvia!" E così, invece di dire "Questo progetto è un disastro", si balbetta "Interessante prospettiva di sviluppo non convenzionale".

Avete mai notato come in molte organizzazioni le persone tendono a muoversi in gruppo, come i pinguini? C'è una ragione: la pressione sociale. Se nove persone dicono che la nuova idea del capo è fantastica, la decima (il quality manager) ce la farà a dire "Ma siete sicuri? A me sembra una schifezza"? "Ce la deve fare!", direte voi, e avete ragione ma ammettiamolo, cari colleghi, non è facile lavorare in un ambiente del genere!

Gli adulatori: una specie in via di moltiplicazione

"Diffidate di quelli che vi adulano, a lungo andare sono più controproducenti di quelli che vi contraddicono". Lo ha detto Michele Ferrero ed è uno di quegli aforismi che chiunque sia a capo di un'azienda dovrebbe ricamare su un bel cuscino da tenere sotto la testa affinché la notte porti consiglio.

L'adulatore aziendale è una creatura affascinante. Lo riconosci subito: è quello che durante una riunione annuisce e trova geniale anche la proposta del capo di dipingere la sala mensa di verde fosforescente, quello che risponde "Assolutamente sì!" prima ancora di aver ascoltato la fine della domanda.

Non confondiamo l'adulazione con un sano complimento. Il complimento è breve, intenso, sincero. L'adulazione è un po' appiccicosa, artificiale e lascia un retrogusto sgradevole.

Applicando il tutto al quality management, l'adulatore è quello che, se il cliente è furioso e ha ragione esclama: "Non ha capito il nostro prodotto. Semplice!" per non dare un dispiacere al direttore generale che ci è rimasto male.

Più cerchiamo l'approvazione incondizionata di qualcuno, più ci allontaneremo da un successo di lungo termine perché, prima o poi, ci schianteremo e sarà uno schianto spettacolare, con tanto di adulatori che commenteranno: "Magnifico impatto! Mai visto un incidente così elegante!"

La soluzione? È semplice (ma non facile)

La verità è che abbiamo bisogno di più persone che ci dicano "Questo non funziona" e meno che esclamino "E' perfetto!" ogni tre secondi. Abbiamo bisogno di feedback onesti per sapere dove andare.

Il quality management non è un concorso di popolarità, né un reality show dove vince chi ha più fan. È un processo serio che richiede onestà brutale e la capacità di guardare la realtà negli occhi, anche quando ha una faccia che non ci piace.

Le cinque sfumature dell'adulazione aziendale

Pensate che l'adulazione sia semplice da riconoscere come un "Sì, capo" sussurrato al momento giusto? Ingenui. L'adulazione è un'arte raffinata, con più sfaccettature di un diamante (falso, naturalmente) perché una direzione che vuole vedere solo la versione migliorata della realtà e che ha sviluppato un'allergia alla verità, purtroppo viene raggirata in molti modi. Vediamone qualcuno insieme.

1. Lo Yes-man: l'annuitore seriale

Conoscete il giochino del cagnolino con la testa che ondeggia sul cruscotto dell'auto? Ecco, lo "Yes-man" è la versione umana, in completo grigio e cravatta. È quello che in riunione ha sviluppato un torcicollo permanente a forza di annuire. Se il capo dicesse "La Terra è piatta", lui risponderebbe "Certamente, e che bei bordi squadrati che ha!".

Il problema? Un quality manager che provi ad attirare l'attenzione della direzione sul fatto che alcune cose vanno sistemate può arrivare armato fino ai denti con dati e prove schiaccianti ma lo "Yes-men" ha un vantaggio su di lui: è facile dargli retta e non crea alcuna insicurezza in chi lo ascolta.

2. La grande censura: quando il feedback negativo diventa una parolaccia

In alcune aziende, dire "C'è un problema" è considerato più scandaloso che presentarsi in ufficio in costume da bagno. Si sviluppano sistemi sofisticatissimi per evitare le critiche: riunioni dove il dissenso è considerato una forma di lesa maestà e corridoi dove i sussurri di disapprovazione vengono soffocati più velocemente di uno starnuto in biblioteca.

Il risultato? Un'azienda dove i problemi vengono nascosti, anche se tutti sanno che esistono e che stanno diventando sempre più grandi. Nessuno ha davvero il coraggio di riportare alla direzione che qualcosa non va e si continua, allegramente, a far finta di niente.

3. La bolla di sapone della perfezione: l'auto-adulazione

Alcune aziende (e molte delle persone che vi lavorano) vivono in una bolla di auto-compiacimento così spessa che neanche un ago di realtà riuscirebbe a bucarlo. Sono quelle che si convincono di essere perfette, innovative e all'avanguardia solo perché hanno comprato una macchinetta del caffè con il Wi-Fi.

Queste aziende (e queste persone) vivono come un attacco personale qualunque cosa che differisca anche di poco dalla loro personalissima visione della realtà. Un bel problema per chi si occupa di qualità.

4. Decisioni basate sulle favole

Immaginate di guidare con gli occhiali rosa: tutto sembra bellissimo, finché non vi schiantate contro un muro (che era decisamente grigio, non rosa). È quello che succede quando si prendono decisioni basandosi solo su feedback zuccherati.

"Le vendite vanno benissimo!" (Se confrontate con quelle del negozio di ghiaccio al Polo Nord) "Il morale è alle stelle!" (Se per stelle intendiamo il pavimento) "I clienti sono soddisfatti!" (Quelli che non se ne sono ancora andati). Come riuscire a fare davvero qualità in un ambiente del genere?

I pilastri della qualità (e come vengono demoliti in realtà del genere)

Vi ricordate il gioco Jenga? Quello dove si tolgono i blocchetti dalla torre fino a quando tutto crolla? Ecco, l'adulazione nel nostro lavoro funziona esattamente così. Solo che invece di blocchetti di legno, stiamo giocando con i principi fondamentali della qualità, demolendoli brillantemente uno alla volta.

1. Il cliente ha sempre ragione (ma facciamo finta di non sentirlo)

Non è vero: il cliente non ha sempre ragione ma è il cliente e bisogna imparare a gestirlo nel migliore dei modi e in maniera professionale. Di sicuro, se il cliente urla "Questo prodotto fa schifo!", in azienda non ci si può limitare a dirsi:

  • "Non è uno da feedback costruttivo"
  • "Cosa vuoi che capisca? Lui mica fa il nostro lavoro da trent'anni!"
  • "Manca un pezzo? Ma sarà lui che non lo trova!"

Se il cliente si aspettava qualcosa di diverso da ciò che ha ricevuto, è sempre è comunque colpa nostra, se non altro perché non siamo stati capaci di interpretare correttamente le sue richieste e di spiegargli quale sarebbe stato il nostro modo di soddisfarle. E se davvero il cliente avesse torto, dobbiamo comunque gestire il suo reclamo e interagire con lui in modo costruttivo.

2. Il miglioramento continuo diventa la grande illusione

Il secondo pilastro della qualità dovrebbe essere il miglioramento continuo: un po' di fatica ogni giorno per risultati migliori. In un ambiente di adulatori, però, il miglioramento continuo si trasforma in "mantenimento continuo dello status quo". Se come mestiere fate il quality manager, in un ambiente così bisogna davvero decidere come muoversi. O accettate di fare l'outsider, o iniziate a spedire in giro il vostro curriculum.

3. Decisioni basate sui fatti (ma più spesso sulle favole)

Il terzo pilastro della qualità sarebbe prendere le decisioni basandosi sui dati e sulle evidenze ma, anche in questo caso, in un'azienda piena di adulatori, i fatti sono come i vestiti dell'imperatore nella famosa favola: tutti fingono di vederli, ma in realtà non ci sono perché vengono tenuti ben lontani da chi dovrebbe decidere.

4. Il coinvolgimento delle persone (ma solo se dicono quello che vogliamo sentire)

Chi si occupa di qualità sa che le persone andrebbero sempre coinvolte se si vuole davvero "fare qualità". Se le persone da coinvolgere, però, non portano nulla di personale perché sono state addestrate a cantare tutte la stessa canzone, il problema è davvero serio.

In un ambiente di "Yes-men" il coinvolgimento delle persone funziona così: "Hai un'idea?" "Sì!" "È uguale alla mia?" "No" "Allora la vediamo quando ho un attimo di tempo (mai)".

Manuale di sopravvivenza anti-adulazione

Dopo aver visto come l'adulazione può divorare ogni tentativo di lavoro ben fatto, è ora di passare all'azione. Ecco il nostro kit di sopravvivenza, con alcune strategie che funzionano.

1. Operazione verità

Prima regola del Fight Club aziendale: si può dire la verità. Seconda regola: SI DEVE dire la verità.

Promuovere una cultura dell'onestà in azienda è come convincere i vostri figli che le verdure sono buone: richiede pazienza, esempio e una buona dose di creatività. la direzione può iniziare celebrando chi ha il coraggio di dire "Questo non funziona" invece di chi risponde sempre "Fantastico!" come un pappagallo ammaestrato.

2. L'arte di non prendersi troppo sul serio

I leader devono imparare ad accogliere le critiche con un sorriso sincero, anche se fanno male. La formazione dovrebbe includere corsi come:

  • "Come sopravvivere quando qualcuno dice che la tua idea fa schifo"
  • "No, non sei sempre il più intelligente della stanza (e va bene così)"
  • "L'arte di ammettere i propri errori (anche se hai tot anni di esperienza)"

3. Il Sistema delle cassette anonime

Create sistemi di feedback anonimi più sicuri della cassaforte di una banca svizzera. Le persone devono sentirsi libere di dire "Il re è nudo" senza temere di finire nel "dungeon" aziendale.

Chiedete critiche ma anche proposte di soluzioni concrete. Potreste rimanere stupiti.

4. Premio "Rompiscatole dell'anno"

La direzione dovrebbe smettere di premiare chi sorride e annuisce e iniziare a celebrare i "rompiscatole costruttivi", quelli che hanno il coraggio di dire che qualcosa non funziona.

Create categorie come:

  • "Miglior critica che ci ha salvato dal disastro"
  • "Premio coraggio: ha detto no al capo e aveva ragione"
  • "Oscar per la migliore interpretazione di verità scomoda ma necessaria"

5. Riunioni con l'avvocato del diavolo

Trasformate le vostre riunioni da concerti di "Sì, certo, assolutamente" in dibattiti costruttivi. Nominate un "avvocato del diavolo" ufficiale per ogni incontro - quello che deve trovare il pelo nell'uovo.

La morale della favola?

In un mondo aziendale ideale, dovremmo tutti indossare un cartellino con sopra scritto: "Accetto critiche costruttive e caffè. Non necessariamente in quest'ordine", perché alla fine, la verità è meglio conoscerla subito che trovarsela ingigantita e non più gestibile sulla scrivania dopo qualche settimana.

L'adulazione è come il colesterolo: ce n'è uno buono e uno cattivo. Un complimento sincero ogni tanto non ha mai ucciso nessuno, ma quando diventa uno sport di squadra, beh, allora abbiamo un problema.

Se c'è una cosa che dovrebbe essere chiara dopo aver letto questo articolo è che il quality management senza onestà non va da nessuna parte.

Se fate parte della direzione, la prossima volta che il vostro responsabile qualità avrà il coraggio di alzarsi e dire "Scusi, ma secondo me stiamo sbagliando tutto" e vi porterà i dati che lo dimostrano, non chiamate la sicurezza. Alzatevi e dategli una medaglia. O almeno un caffè. E ricordate: se tutti intorno a voi continuano a dire che state facendo un lavoro perfetto, o siete davvero dei geni (possibile, ma statisticamente improbabile), o è ora di cambiare collaboratori (magari dopo essersi mangiati un bel cucchiaino della famosa crema spalmabile di Michele Ferrero!).

PER SAPERNE DI PIU':
Gli aforismi pubblicati per data
Gli aforismi per autore
Tutti gli aforismi di QualitiAmo