QUALITA' DEL SOFTWARE, QUALITA' E AUMENTO DEL BUSINESS

di Patrizia Fabbri "ZeroUno Web"

Nel confronto tra gli utenti organizzato qualche tempo fa da ZeroUnosono emersi alcuni importanti spunti di riflessione sulle difficoltà e le possibili strade da percorrere per implementare applicazioni di qualità le cui performance siano misurabili al fine di supportare l’azienda nella creazione di valore

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Nel corso dell’Incontro a Cena con gli Utenti tenutosi a Milano qualche tempo fa sul tema “It governance: misurare la qualità e le prestazioni dei sistemi informativi aziendali”, Paolo Pasini, professore Senior della Unit SI e responsabile dell’Osservatorio BI di Sda Bocconi, ha commentato i risultati dell’indagine Quality & Performance Management, realizzata da ZeroUno.

“Questa ricerca – ha spiegato il direttore di ZeroUno, Stefano Uberti Foppa, introducendo i lavori della serata – rappresenta un lavoro molto importante perché va ad analizzare in profondità le dinamiche emergenti nella governance dei sistemi informativi.
Ne emergono alcuni punti di cambiamento interessanti: se da una parte, per esempio, l’attenzione ai costi è ancora molto forte, come del resto è corretto che sia, essa si affianca al tentativo di attribuire nuovi valori all’It con tutta la difficoltà che consegue nel definire strumenti di valutazione e misurazione”.

Il direttore lascia poi la parola a Vittorio Boero, worldwide Sap program manager di Fiat Group Automobiles e responsabile di Sapiens, il grande progetto con cui Fiat Auto ha deciso nel 2005 di riorganizzare, standardizzare e integrare i propri processi It sulla piattaforma Sap NetWeaver e sulle soluzioni mySap Erp e mySap Srm.
Non entriamo nel dettaglio del progetto che è stato ampiamente illustrato da Boero nello scorso numero di ZeroUno (e attualmente disponibile su www.zerounoweb.it all’interno dell’Osservatorio Quality & Performance Management) se non per ricordare e sottolineare i fattori che Boero ritiene più importanti ai fini di un buon governo della tecnologia, che sia cioè allineata alle esigenze dell’impresa: la garanzia della business continuity, la velocità d’esecuzione, la sicurezza delle applicazioni.

“Non ci possiamo permettere di avere dei processi che abbiano discontinuità e non avere alcuna interruzione del servizio è un target fondamentale. Secondo obiettivo è la velocità. Per quanto riguarda le prestazioni, siccome l’idea dalla quale eravamo partiti e che abbiamo poi implementato era quella di realizzare un sistema che non fosse per aree segregato per aree geografiche, ma una piattaforma integrata e distribuita a livello worldwide, la preoccupazione che si potessero creare dei problemi nel momento in cui avessimo aggiunto nuovi Paesi, con nuovi mercati e migliaia di utenti era molto forte. Abbiamo quindi adottato strumenti di test capacitivo, allo scopo appunto di evitare che problemi del genere potessero insorgere sui processi più critici per il business. E questi strumenti ci hanno in effetti permesso di identificare dei colli di bottiglia e di mettere a punto le attività di tuning e di perfezionamento su quanto sviluppato nei vari progetti”.

Un maturity model per la gestione della qualità applicativa

La presenza di Boero si è rivelata particolarmente importante nel corso della serata perché, grazie all’esperienza maturata nell’implementazione di questo progetto, sommata a quella accumulata in anni di attività dirigenziale nelle aziende del Gruppo Fiat, ha potuto rispondere alle numerose domande dei nostri ospiti, trasferendo loro alcuni elementi essenziali di quella che è una vera e propria best practice.

Prima di dare la parola alla platea, Fabio Perego, Application Quality solution consultant di HP Software Italia, sponsor della serata, è intervenuto delineando le principali caratteristiche di un Modello di Maturità per la gestione della qualità applicativa. “Stiamo parlando – ha esordito Perego - di una fase ben specifica del ciclo di vita dello sviluppo delle applicazioni: l’ultimo anello prima di andare in produzione. Vediamo quindi prima di tutto a chi può interessare questa fase. Se non adeguatamente testata, quando un’applicazione va in produzione può avere impatti disastrosi sul business (perdita di dati, downtime ecc.), quindi l’importanza di eseguire controlli di qualità del software prima della messa online è evidente; importanza che non riguarda il tradizionale punto di vista della qualità, ma anche altri aspetti e, in particolare, uno che è sempre più sotto gli occhi di tutti: la sicurezza. E qui non parliamo di firewall o antivirus o antispyware, ma di sicurezza intrinseca delle applicazioni; parliamo quindi di Business Technology Optimization, Application Quality Management ecc.”

Focus dell’intervento di Perego è stato quello di illustrare un modello di maturità per la gestione della qualità applicativa nel quale le aziende possano collocarsi per cercare di capire se la governance del proprio It e, più specificatamente, le attività connesse a questa delicata fase dello sviluppo applicativo non solo mettono l’azienda al riparo da eventuali problemi nella messa in produzione delle applicazioni, ma rappresentano un reale allineamento tra It e business.

Il modello proposto da Perego si sviluppa su 5 livelli partendo dal più basso, il livello 0, nel quale non esistono processi documentati di Quality Assurance e i test (ammesso che vengano fatti) sono completamente manuali, per arrivare al livello 4, veri i propri esperti della qualità dove i processi di Quality Assurance governano tutte le attività di testing nonché ogni iniziativa inerente la qualità applicativa.

In mezzo i tre livelli identificati come Quality Initialising (1), Quality Conscious (2) e Quality Savvy (3) che consistono dei diversi step di progressivo aumento di maturità.

Ma la strada è lunga e Perego sottolinea che l’esperienza di Hp Software che quotidianamente si confronta con queste tematiche nelle aziende, vede la concentrazione delle imprese (circa il 65%) nei livelli 0 e 1 per arrivare solo al 5% di livello 4. “La realtà con la quale più frequentemente mi confronto è che anche laddove c’è un buon livello di maturità trovo una scarsa adesione all’adozione di strumenti e best practice a supporto; solitamente l’approccio che intravedo è molto tattico e limitato; raramente c’è una visione strategica su questi temi”, ha precisato Perego.

Al termine dell’intervento di Perego ha avuto inizio il dibattito.

Uberti Foppa: Partirei da uno dei temi più interessanti emersi nel corso dell’indagine, ossia il gap esistente tra ciò che si ritiene importante misurare e quello che viene effettivamente misurato per valutare le performance del sistema informativo. Mi rivolgo quindi a Vittorio Boero, per capire, dal suo punto di vista, quali sono quei fattori che seppur considerati importanti non si riescono poi a misurare e per quali motivi.

Boero: Per quanto riguarda la verifica preventiva, in Fga ormai da anni non si prende neanche in considerazione l’idea che possano andare in produzione applicazioni che non rispondano a determinati requisiti: la piena continuità del servizio deve essere sempre garantita e per farlo ci si attrezza con le migliori practice disponibili sul mercato. D’altra parte è vero che l’attenzione spasmodica ai costi porta a un’elevata sensibilità verso tutto quello che ha relazione con il business e quando si parla di servizi di verifica qualitativa preventiva e successiva ecco che l’attenzione rischia di venire meno.
Gli utenti non percepiscono facilmente il valore dell’implementazione di soluzioni di quality assurance; quello che io faccio è cercare di evidenziare attraverso indicatori molto chiari, relativi agli impatti sul business, i vantaggi dell’avere adottato determinate soluzioni grazie alle quali migrazioni imponenti non hanno avuto un secondo di downtime, non si è perso un solo dato, insomma il business non ha risentito in alcun modo dell’implementazione di un progetto e ne ha potuto cogliere solo gli aspetti migliorativi ed evolutivi. In definitiva il mio consiglio è di dare evidenza ex post ai risultati.

Pasini: Quello della misurazione in campo applicativo è un tema relativamente nuovo e non c’è dubbio che sia molto complesso. La misurazione mette le aziende di fronte all’esigenza di diventare molto oggettive e concrete, affrontando un problema di base fondamentale: la misurazione obbliga a definire molto bene perché si vuole misurare e come.
Misurare la qualità è difficile e il primo passo è pensare proprio al perché e a come voglio misurare, poi bisogna avere i sistemi adatti, quindi anche il sistema di misurazione può essere un altro ostacolo perché non adeguato a quello che effettivamente mi interessa. Altro tema è il controllo dei progetti: inventarsi delle misure per capire quanti progetti sono on time e on budget si fa; la complessità sta nell’agganciare queste informazioni per renderle utili in termini di processo.
Infine un ultimo appunto sull’importanza dei costi: tutti misurano ma nessuno dice come; una delle sfide delle aziende è smettere di analizzare costi per natura (licenze, hardware ecc.) ma capire come analizzarli dal punto di vista del business.

Intervento dal pubblico: Affrontando il tema del performance management mi sono sempre confrontato con due visioni direi quasi filosofiche: misura due o tre indicatori, ma misurali bene; misura tutto il misurabile creando decine di pagine di indicatori. In realtà credo la soluzione stia in mezzo, però vorrei capire qual è l’approccio in Fiat su questa questione.
C’è poi un altro aspetto che mi interesserebbe approfondire: spesso ho vissuto il performance management in maniera difensiva; dovendo far fronte alle critiche del business si utilizza questo strumento per “proteggersi”, per dimostrare la correttezza di determinate scelte mentre ritengo che il performance management dovrebbe essere qualcosa di diverso, consentire analisi per migliorare certe procedure, per esempio.

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Boero: Il primo passo è stato quello di sensibilizzare i nostri referenti a razionalizzare quello che avevano realizzato e utilizzato fino a quel momento; cercare di convincerli che non tutto quello che c’era era necessario. È stato molto difficile ma alla fine abbiamo ottenuto un buon successo. Naturalmente si tratta di passaggi graduali, dove è importante identificare insieme, It e business, su cosa focalizzarsi. Lo stesso, potrei dire, vale anche per la seconda parte della sua domanda. E’ importante portare evidenza dei difetti e delle problematicità esistenti messe in evidenza dal sistema di misurazione, far emergere i plus che la soluzione porta e questo ci ha portato a mettere in risalto il fatto che non si è trattato di un semplice cambiamento tecnologico ma di un cambiamento di processo.

Uberti Foppa: Da questa prima fase del dibattito mi sembra emerga la complessità di trovare parametri di misurazione delle performance quando sono legati a elementi di business; sembra affermarsi la tendenza ad avere risposte meno tecnicistiche di un tempo, più indirizzate a dare un reale supporto all’utente aziendale finale.

Perego: Vuol dire a introdurre parametri di misurazione per quanto riguarda il processo, in questo caso un processo di quality assurance, per giustificare l’esistenza e il ritorno di questo stesso processo; quello che si sottovaluta è che il quality management viene visto come un costo non solo in termini di licenza ma anche di tempo impiegato per implementarlo e quindi è necessario identificare e dare evidenza di quegli indicatori che giustificano non solo l’acquisto delle licenze relative agli strumenti ma tutto il lavoro che ci sta dietro.

Boero: Gli strumenti devono essere usati in maniera appropriata e bisogna, come ho detto, dare evidenza dei plus di questi strumenti (mancanza di difettosità del sistema, qualità dell’applicazione ecc., diamo evidenza dei problemi che siamo stati in grado di gestire grazie a questi sistemi preventivi); la seconda cosa importante è usare i sistemi di Business Intelligence, di reporting, identificando i Kpi importanti per il business; se la difettosità eliminata si riflette sui costi aziendali è importante sottolinearlo. È su entrambi i fronti che bisogna lavorare. L’Ict deve guardare sempre più al di fuori dei propri ambiti; bisogna avere figure che sappiano di business...

Intervento dal pubblico: Mi sembra che ciò che emerge è che abbiamo l’esigenza di avere un sistema di misurazione che giustifichi i miglioramenti del processo. Molto banalmente possiamo chiedere un investimento all’azienda per implementare un sistema di quality assurance solo se sono in grado di dimostrare che ho una certa disfunzionalità che è gravosa per il business. Quindi abbiamo un doppio livello: da un lato un sistema di controllo e dall’altro, proprio grazie a questo controllo, la possibilità di proporre soluzioni per migliorare la situazione. Non è banale.
Vorrei poi fare una considerazione relativamente al maturity model illustrato da Fabio Perego e che riguarda l’essenziale disomogeneità tra i gruppi di lavoro all’interno di team It particolarmente complessi, come il caso dell’azienda in cui lavoro. In realtà quello cui tendiamo non è l’eccellenza, che magari in alcuni progetti raggiungiamo anche, ma alzare il livello minimo complessivo in modo che qualsiasi progetto parta dal rispetto di alcuni requisiti di base. Mi sembra un elemento importante per valutare la maturità di un intero team It perché la maturità non è data dalle eccellenze.

Pasini: Vorrei tornare ancora sul come convincere la direzione aziendale a fare investimenti di quality assurance. Uno degli approcci è sicuramente quello di dimostrare che la quality assurance preventiva impedisce di distruggere valore perché, nell’implementazione di nuove soluzioni o nuove funzionalità, anche se ovviamente motivate dalla ricerca di risposta a nuove esigenze, il rischio di impatti negativi dovuti a una non adeguata qualità del software c’è sempre. Quindi è importante far comprendere la necessità di misurare, e avere gli strumenti adeguati per farlo, perché dove non si misura non posso migliorare: è una legge vecchia e conosciuta ma del tutto attuale e fondamentale.

Intervento del pubblico: Mi sembra che più che evidenziare la mancata distruzione del valore sia necessario dimostrare la creazione di valore. Quindi misuro “solo” l’efficienza del sistema informativo oppure misuro come queste soluzioni possano portare valore in più al business.

Boero: Entrambe le cose. Sicuramente misuriamo l’efficienza del sistema, ma lavoriamo anche dal punto di vista del miglioramento delle revenue.

Uberti Foppa: Il tema della ceazione del valore è trasversale ad ogni tipo di attività dell’It. E così è anche per l’ambito di cui ci occupiamo questa sera. Culturalmente il passaggio da parte dell’It sta avvenendo; la sfida è ora quella di trovare gli adeguati “strumenti” per concretizzare un’azione coerente.

Intervento del pubblico: Quali sono quindi quegli indicatori che possono evidenziare l’aumento di valore?

Boero: Declinare insieme ai referenti di business le aree critiche da aggredire, disegnare un modello target di queste aree, impostare poi una serie di reingegnerizzazioni dei processi permette di identificare preventivamente quali sono i Kpi che poi utilizziamo per misurare, dopo l’avviamento in produzione, e dimostrare al top management quali sono stati i plus della soluzione. Indubbiamente identificare parametri di business (velocità di fatturazione, identificazione rapida delle difettosità dei prodotti per potersi rivalere sui fornitori, solo per citare alcuni esempi) per poi calarli nei sistemi di business intelligence, consente di dare massima visibilità ed evidenza per avere l’ulteriore supporto nell’implementazione di un progetto di ampio respiro come quello che abbiamo realizzato.

(Fonte: ZeroUno Web)

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