QUALITA' E PRESSAPOCHISMO
ALL'ITALIANA

Come si fa a predicare precisione in un Paese dove l'errore
viene dato per scontato?

Un articolo di Alberto Luci

pressapochismo

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La riflessione che affido a queste pagine nasce da quella che pensavo sarebbe stata una cosa semplice, un'operazione di ordinaria amministrazione da sbrigare in pochi minuti.
Ovviamente non è andata così.

La scorsa settimana sono uscito per andare ad una filale delle Poste per informarmi sulla procedura per riscuotere un vecchissimo buono fruttifero (il solo nome fa pensare ad altri tempi, un'altra epoca, un altro concetto di risparmio).
Lungo la strada, ho pensato, con un filo di commozione, a chi me ne aveva fatto dono nella notte dei tempi e a chi, con tanta generosità, l'aveva rinnovato pensando ad un piccolo pezzo del mio futuro. Ed eccolo lì: un pezzo di carta filigranata ormai quasi antico che ha il fascino dei signori anziani che ancora salutano le donne alzando il cappello.

Sentendomi quasi Doctor Who in uno dei suoi viaggi indietro nel tempo, ho varcato la porta dell'ufficio postale e sono stato fagocitato dal mostro che personalmente temo di più ogni volta che interagisco con il prossimo: il Pressapochismo all'italiana (con la "P" maiuscola perché, ormai, possiamo quasi ricrearcene una personificazione nella nostra mente).

Coda, prendo il numero, controllo il visore.
Per fortuna c'è poca gente davanti a me. Mi siedo e penso: "sono attenti al cliente qui alle Poste, hanno pensato anche alle sedie. Bravi ". Non sapevo ancora quanto mi stessi sbagliando.

Arrivato il mio turno, mi avvicino allo sportello con il migliore dei miei sorrisi e spiego brevemente all'impiegato cosa sono venuto a fare. Nei suoi occhi si accende il panico.
Batte qualche tasto sul computer, fissa lo schermo senza trovare risposte, guarda il buono, scuote la testa e si reca dal collega che siede vicino a lui.

La conversazione si svolge a voce bassissima ma riesco a percepire qualche parola turbata: "...non so...non l'ho mai fatto...ma bisogna fare richiesta?"
Una vocina inizia a farsi strada nella mia mente: "non sarà una cosa breve..."

Tornano allo sportello in due e mi dicono che ora avvieranno la procedura (nemmeno si trattasse di un allunaggio) e che si tratta solo di avere pochi minuti di pazienza.
Fotocopiano buono e carta di identità, inseriscono i dati nel computer ed è a questo punto che il sistema decide di non riconoscere in me un utente che vuole semplicemente riscuotere un credito (per forza, sono un alieno, un signore del Tempo, ecco cosa succede a guardare Doctor Who!)

Non so quante volte ho visto girare davanti a me la stessa schermata, troppe comunque. Alla fine (era passata mezz'ora buona più il tempo trascorso in coda) il diligente impiegato mi sorride e mi dice convinto: "ce l'abbiamo fatta! Ora torni da noi fra cinque giorni (meglio sei o sette, va...) con gli stessi documenti e dovremmo avere i soldi"

Come "dovremmo"? Vabbè, me ne vado carico di frustrazione. Del resto è colpa mia: sono entrato in quell'ufficio con un pezzo di carta antico che sapeva un po' di polvere, come avrebbe potuto reggere il confronto con i computer, i cellulari, i netbook che vedo spuntare in giro? Per forza ha mandato in tilt il sistema...per forza.

Passano i giorni (una decina, perché la vocina nella mia mente mi consiglia che è il caso di abbondare) e torno all'ufficio postale. Presento nuovamente i documenti, questa volta ad una gentile impiegata, e attendo che venga trovata la mia pratica.
La ragazza, però, non sa che pesci pigliare:, annaspa, ascolta smarrita il mio riassunto della prima puntata, si guarda perplessa in giro. Per fortuna, corre in suo soccorso un collega più anziano ("Evviva!", penso, "formazione per affiancamento, funziona ancora! Bravi!")

Partono in due per cercare la mia pratica. Aprono un armadio (un armadio nel 2010? Ma allora il mio piccolo buono non è poi così antico!), poi un altro, poi si guardano perplessi.

Afferrano la colonna di cartelline (una colonna!) e vanno in un ufficio a cercare la mia.
Diciamo che passano dieci minuti buoni. Finalmente la cartellina salta fuori. I due diligenti impiegati si ripresentano allo sportello e iniziano ad inserire nuovamente dati nel computer. Ad un certo punto la fanciulla mi guarda ed esclama con gentilezza: "Mi può dare il suo codice fiscale per cortesia?"

"Non ce l'ho", rispondo, "l'ho lasciato a casa perché nessuno mi aveva detto di portarlo. Però non c'è problema", affermo conciliante, "basta che inseriate i miei dati che vedete sulla carta di identità in uno dei tanti siti internet che permettono di ricostruire il codice e il gioco è fatto, tanto vi servono solo le cifre e le lettere, no?"

"Noi quelle cose non le facciamo più!", sbotta il collega anziano un po' arrossendo, come se gli avessi chiesto di collegarsi ad un sito a luci rosse.
"Ma voi non mi avete detto che avrei dovuto portare questo documento", ribatto combattivo, "la colpa è vostra". Vedo che la ragazza è tacitamente d'accordo con me mentre il collega anziano non transige: balbetta, non si scusa, non mi guarda negli occhi ma mormora che ci vuole proprio il codice fiscale.

Vabbé, almeno abito vicino!

Torno, mi presento con il mio codice. Ancora input dati (ancora???).
Nel frattempo, colgo la discussione tra l'utente in coda allo sportello accanto al mio e un'altra impiegata: "come manca un documento? Ma voi non mi avete detto di portarlo..." ("ah, ma allora è un vizio", penso, mandando un'occhiataccia alla volta del mio impiegato intransigente che, se possibile, arrossisce ancora di più).

Sfinito dai numeri e dalle lettere che si affollano sullo schermo della mia impiegata, mi volto nuovamente a seguire la discussione dei miei vicini di fila che, nel frattempo, si è accesa nei toni e vede l'accalorato signore affermare a voce alta: "quindi voi avete sbagliato quando non mi avete detto di portare questo documento" e la scostante impiegata rispondere: "forse. Ma se allora è stato fatto un errore non è detto che oggi si debba continuare a farlo" (dopo questa affermazione Aristotele avrebbe bruciato tutti i suoi tomi sulla Logica).

Sì, alla fine ce l'ho fatta a riscuotere la mia incredibile cifra. Per farmi sentire più ricco, hanno pensato bene di darmi gran parte della somma in biglietti da 20 euro (un'operazione errata sul sistema aveva bloccato la richiesta alla cassaforte e avevano dovuto saccheggiare la cassa continua. E non è una barzelletta, ve lo assicuro!)

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Dalla teoria alla pratica: il secondo lavoro di Stefania Cordiani e Paolo Ruffatti spiega come migliorare la vostra organizzazione applicando la nuova norma attraverso i suggerimenti del loro primo libro
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(Vai all'articolo che descrive il primo libro)

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In calce all'articolo riporteremo quotidianamente un aggiornamento sulla futura norma)

Cosa ho portato a casa da questa esperienza a parte la mia ora e quaranta volatilizzatasi nel nulla? Le seguenti considerazioni:

  • perché non fare una lista dei documenti da presentare a seconda delle operazioni che si fanno in posta? Si potrebbe darne una copia al cittadino che ne fa richiesta, appendere un memo in bacheca e (incredibile!) pubblicarlo persino sul sito internet
  • quando si sbaglia si dovrebbe chiedere scusa, non accampare logiche spicciole.
    Non importa quale collega ha sbagliato, ci si scusa a nome dell'ufficio. E' un modo intelligente per gestire la rabbia dell'utente che ci si trova davanti e una piccola lezione di umiltà che farebbe bene a tanti impiegati dietro agli sportelli
  • perché non dotare i giovani di procedure per poter essere indipendenti davanti a tutte le richieste? Perché renderli sempre schiavi del sapere contenuto nella testa dei più anziani? Possibile che nessuno ci abbia pensato?

Lo so, lo so...si chiama Qualità, anche questa con la lettera maiuscola ma perché se lo merita.

PER SAPERNE DI PIU':

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