VIETARE O STIMOLARE L'IMITAZIONE?
Per modificare comportamenti dannosi è meglio proibire o
consigliare?
Articolo di Stefania Cordiani
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Il periodo estivo è un buon momento per dedicarsi a ciò che si ama di più e io ne approfitto per approfondire gli argomenti che più mi interessano e che spesso trascuro durante il resto dell'anno a causa della mancanza di tempo.
Uno di questi argomenti è la psicologia che, spesso, offre ottimi spunti per parlare della nostra amata Qualità.
E' il caso dell'articolo "Vietato vietare" riportato sul numero di giugno della rivista "Mente & Cervello" che si chiede se per modificare comportamenti dannosi o, semplicemente, errati, sia meglio proibire o consigliare.
Leggendolo, ho subito fatto un collegamento logico con i professionisti della Qualità che, spesso, vengono visti come "coloro che vietano", "coloro che fissano le regole" e "i colleghi con la verità in tasca che ti spiegano come lavorare".
Vi propongo i passaggi dell'articolo di Daniela Ovadia che mi hanno colpito di più. In coda, proveremo a fare qualche piccolo ragionamento sui contenuti per vedere come applicarli al mondo della Qualità.
Bambini o adulti?
Ai bambini i divieti fanno bene. O almeno così dicono i pedagogisti e gli autori di bestseller come 'I no che aiutano a crescere' di Asha Philips, migliaia di copie vendute dal 2000 a oggi.
Sentirsi vietare qualcosa significa, per i più piccoli, percepire la presenza del controllo genitoriale, conoscere i limiti entro i quali un comportamento è considerato socialmente lecito e fare i conti con la frustrazione, sentimento più che necessario per una crescita armoniosa.
Ma che succede quando i divieti sono imposti agli adulti? Qual è la loro reazione alle norme e a chi le stabilisce? E che cosa fa sì che una norma sia seguita e compresa mentre altre vengono disattese?
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Rischio reattanza
Nel caso degli adulti, ciò che accade più spesso è la cosiddetta reattanza, un fenomeno ben noto in psicologia e che consiste nel rifiuto di accettare regole che limitano i comportamenti individuali.
La reattanza ha una base prettamente emotiva e si manifesta soprattutto quando la persona si sente eccessivamente costretta in una direzione che non condivide. Risultato? Adotta esattamente il comportamento opposto.
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I principi centrali della teoria della reattanza sono due: se uno dei comportamenti che una persona può scegliere è minacciato di eliminazione (per effetto di una legge, per esempio), l'individuo sperimenterà la reattanza emotiva. Inoltre il comportamento vietato aumenterà automaticamente in attrattiva e porterà il soggetto a battersi per riconquistare il livello di libertà individuale perduto.
Questa teoria è stata più volte dimostrata in esperimenti di psicologia sociale, per esempio in uno studio di Paul Silvia dell'Università del North Carolina, pubblicato nel 2005.
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Il miglior modo per ottenere un effetto boomerang è vietare qualcosa", spiega Silvia, che ha misurato concretamente il fenomeno. "Ciò significa che dobbiamo insistere soprattutto nel rafforzare i messaggi positivi a favore dei comportamenti corretti piuttosto che vietare quelli scorretti".
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Studi successivi hanno dimostrato anche che la reattanza è misurabile, ed è proporzionale alla riduzione delle scelte disponibili: in sostanza, in un Paese in cui molte cose sono vietate, la reattanza nei confronti di ogni singolo divieto è più forte di quanto accade dove lo stesso divieto è posto in un contesto generale più tollerante. In pratica, non ci si abitua mai a veder ridurre la propria gamma di scelte possibili, e non si diventa più obbedienti perché si vive in un luogo dove la società esercita un forte controllo sull'individuo, bensì esattamente il contrario.
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Il bisogno di riavere ciò che è vietato diventa, col tempo, sempre più impellente, fino a provocare vere e proprie rivolte contro norme percepite come vessatorie, anche quando le istituzioni cercano di rendere attraente l'eventuale alternativa.
Effetto ambiente
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Il rispetto per le leggi non basta a contrastare alcuni elementi ambientali che possono spingere anche persone molto restie a infrangere le regole.
Un gruppo di psicologi sociali dell'Università di Groningen diretti da Kees Keizer si è specializzato nello studio degli effetti degli ambienti degradati sul rispetto delle norme di civile convivenza.
Nel 2008 Keizer ha pubblicato su Science la prova della teoria delle finestre rotte enunciata dal criminologo George Kelling nel 1982: dove l'ambiente è trascurato e sono visibili i segni dell'incuria, si sviluppano più facilmente comportamenti antisociali e le persone sono portate a infrangere le regole più facilmente.
In uno degli esperimenti, i ricercatori avevano attaccato dei volantini ai manubri di biciclette parcheggiate di fronte a un muro pulito con una grande scritta: "Divieto di imbrattare". Hanno poi osservato quante persone buttavano il volantino a terra, quante lo lasciavano sulla bici e quante se lo portavano via per gettarlo in un cestino. Ripetendo l'esperimento nelle stesse condizioni ma di fronte a un muro imbrattato di scritte, il numero di persone che butta a terra il volantino aumenta considerevolmente.
Lo studio mette in luce anche l'importanza della cosiddetta cross-norm violation: in un ambiente in cui si infrange un divieto, le persone si sentono autorizzate a violarne anche altri.
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La forza dell'imitazione
Se vietare non serve, come convincere una persona a scegliere il comportamento meno comodo?
Puntando sull'imitazione, afferma Robert Cialdini, psicologo dell'Arizona State University ed esperto di tecniche di marketing.
Per dimostrarlo ha condotto, con i suoi collaboratori, un curioso esperimento sul cambio degli asciugamani negli alberghi. Com'è noto, il cambio quotidiano degli asciugamani negli hotel di un certo prestigio è fonte di inutili sprechi energetici e di inquinamento ambientale, per via dei continui lavaggi.
Nei primi anni ottanta alcune catene decisero, dunque, di distanziare nel tempo il cambio della biancheria, suscitando le proteste dei clienti. Da allora si sono diffusi, nei bagni degli hotel di tutto il mondo, i cartellini che invitano a ripiegare il proprio asciugamano se pulito o a lasciarlo per terra se sporco e bisognoso di un lavaggio.
Cialdini si è chiesto quale fosse la formula più efficace per convincere i clienti, dal momento che vietare lo spreco non è una strategia perseguibile. Ha così scoperto che i messaggi più comuni sono due: in uno si fa semplicemente menzione dei rischi ambientali e del risparmio ottenibile con un comportamento più attento, nel secondo alcune catene promettono di devolvere quanto risparmiato a sostegno di cause ambientaliste.
Nel corso dello studio, condotto su 190 stanze singole, il primo messaggio ha consentito un risparmio del 38 per cento dei cambi, il secondo solo del 36 per cento (forse perché i clienti non credono che l'albergo devolverà davvero il denaro ad una buona causa)
Manca, però, un terzo tipo di messaggio, che l'équipe di Cialdini ha introdotto: quello che fa leva sull'imitazione e la cooperazione. Il nuovo testo afferma infatti che evitare il cambio è il comportamento più comune tra gli avventori dell'albergo, puntando sull'effetto imitazione. E' il messaggio più efficace, che innalza la percentuale di asciugamani salvati dalla lavatrice al 48 per cento.
Alcune riflessioni
La prima cosa sulla quale mi sono fermata a riflettere dopo aver letto l'articolo, è il fatto che in alcune realtà le procedure e le policy aziendali vengono seguite senza problemi mentre in altre sembra che le persone facciano a gara per comportarsi nel modo opposto a quello descritto,adducendo scuse che - per molti versi - potrebbero rientrare nell'elenco di frasi killer che abbiamo stilato insieme nel forum.
Spesso i colleghi che frequentano QualitiAmo si lamentano perché raccontano che sembra quasi che le persone si divertano a fare l'opposto di quanto suggerito. Premesso che, come abbiamo detto molte volte, le procedure non vanno imposte ma condivise e che devono essere semplicemente la trascrizione di processi rodati, è vero che - per aumentare l'efficacia o l'efficienza del nostro lavoro - alcuni comportamenti vanno corretti.
Se avete avuto la pazienza di leggere tutti gli stralci dell'articolo che vi ho proposto, avrete certamente capito che, nell'imporre comportamenti o modi di fare, bisognerà stare attenti a non scatenare la reattanza, ovvero una chiusura a riccio nei confronti del nuovo modus operandi percepito come una minaccia alla libertà e alla professionalità dell'individuo.
Ecco perché non mi stancherò mai di caldeggiare il lavoro di gruppo, soprattutto quando si tratta di ridisegnare i processi e di riscrivere i flussi e le procedure che li riguardano.
Come ci insegnano i giapponesi, più una decisione viene condivisa fin dall'inizio del percorso decisionale, maggiore è la probabilità che, una volta presa, trovi terreno fertile in chi la deve applicare.
I nostri colleghi hanno bisogno di sentirsi coinvolti e, giustamente, non si adattano a seguire regole decise in autonomia da chi non conosce a fondo i loro lavoro.
Daniela Ovadia, introduce poi altri due concetti che, a mio giudizio, sono assolutamente fondamentali e andrebbero conosciuti da ogni professionista della Qualità: la teoria delle finestre rotte e la cross- norm violation.
La teoria delle finestre rotte ci ricorda che gli ambienti di lavoro non dovrebbero essere né punitivi né trascurati perché solo in ambienti in cui le persone si sentono a loro agio si sviluppa la serenità necessaria per "fare bene" e per rispettare le regole.
Se una persona si sente trascurata da chi dovrebbe assicurarle un ambiente di lavoro dignitoso, state certi che non avrà voglia di seguire le regole imposte e che sfiderà (apertamente o meno) l'autorità.
Attenzione anche ai comportamenti negativi che vengono dall'alto o che sono tollerati dal basso (magari perché a farsene portatrici sono persone che, per qualche motivo, sono utili ai vertici dell'organizzazione): non possiamo pretendere che una persona che vede continuamente infrangere le regole che dovrebbero essere rispettate, rispetti a sua volta quelle a lei imposte. Quanti di noi, riprendendo un comportamento scorretto, si sono sentiti rispondere: "ma perché a lui nessuno dice niente se fa quest'altra cosa?".
(L'articolo continua sotto al box in cui ti segnaliamo che alla collana di libri QualitiAmo si è aggiunto un nuovo titolo).
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"La nuova ISO 9001:2015 per riorganizzare, finalmente, l'azienda per processi" - Si aggiunge alla collana dei libri di QualitiAmo il primo testo che svela i segreti della futura norma.
Dalla teoria alla pratica: il secondo lavoro di Stefania Cordiani e Paolo Ruffatti spiega come migliorare la vostra organizzazione applicando la nuova norma attraverso i suggerimenti del loro primo libro
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In calce all'articolo riporteremo quotidianamente un aggiornamento sulla futura norma)
Terminiamo con l'"effetto imitazione" che, come ho detto molte volte, secondo me è il modo migliore per fare cultura all'interno di un ambiente di lavoro (e non solo).
Noi professionisti della Qualità non possiamo permetterci leggerezze perché dobbiamo, in qualche modo, scatenare l'imitazione dei nostri comportamenti. La stessa cosa va pretesa dai vertici aziendali perché non si può chiedere agli altri di rispettare regole che loro ignorano.
Arrivare puntuali alle riunioni, rispettare le scadenze, cercare di evitare i conflitti e di calmare gli animi, tenere ordinato l'ambiente di lavoro, ascoltare gli altri e avere un atteggiamento collaborativo sono piccole cose ma sono estremamente importanti se vogliamo cambiare, un po' per volta, gli atteggiamenti negativi che ci circondano.
PER SAPERNE DI PIU':
I documenti per la gestione della QualitàImparare a persuadere le persone
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La cultura di un'organizzazione