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Per una leadership ottima il dirigente

 
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Autore Messaggio
QualitiAmo - Stefania
Moderatore


Registrato: 16/09/07 18:37
Messaggi: 26590

MessaggioInviato: Ven Set 25, 2015 2:47 pm    Oggetto: Per una leadership ottima il dirigente Rispondi citando

(Fonte: "Il Dirigente")

Tutti sanno che chi occupa posizioni chiave nelle aziende, nelle imprese e nella società deve avere leadership, ingrediente indispensabile per sognare il futuro, avere il coraggio del cambiamento e creare le premesse per affrontare le nuove sfide attraverso la qualità del capitale umano.

Chi vive nelle organizzazioni però è spesso frustrato e arrabbiato
nell’osservare e nel subire la “poor leadership” di chi comanda e dovrebbe
dare l’esempio e invece è ancora troppo ancorato a modelli
burocratici o ad altri anni ‘80 (stile The wolf of Wall street di Martin
Scorsese) o assomiglia a Zelig, il protagonista dell’omonimo film di
Woody Allen che la sua nevrotica insicurezza lo porta a imitare, mentalmente e fisicamente, chiunque incontri e qualunque moda manageriale dell’ultima ora (la leadership digitale, l’avatar leadership
ecc.)… ogni tanto incrocia buona leadership… raro incontrare “great”
leader.

È di qualche anno fa un interessante articolo di Jim Collins che si intitolava
“Good to great”: o meglio o niente. Come si vince la mediocrità e si raggiunge l’eccellenza. In estrema sintesi, l’articolo sosteneva che ciò che rende ottimo un leader sono l’umiltà, il saper chiedere aiuto, sfidare i risultati, la disciplina, la feroce determinazione e la capacità di appassionarsi e appassionare/far trovare significato per il lavoro.

In tal senso appaiono leader più forti quelli che fanno dell’ascolto una pratica quotidiana, quelli che facendo le giuste domande a colleghi e collaboratori fanno emergere punti di vista, preoccupazioni, sfumature di pensiero che, se intercettati in tempo, aumentano la capacità di risposta e le probabilità di successo di un piano.
In sintesi, non contare esclusivamente sulle prerogative del potere.

Saper mostrare la direzione senza imporre la strada, recepire le
preoccupazioni prima che sia troppo tardi, mettere a fattor comune
idee e suggerimenti, sembrano emergere, oggi, come ingredienti
indispensabili di una leadership coerente con le condizioni del business
attuale.

Anche noi che ci occupiamo di leadership da molti anni viviamo dentro questa “schizofrenia” e contraddizione: la leadership serve come il pane, invece pochi sono i manager e gli imprenditori caratterizzati da ottima leadership. Ma tanto si parla di leadership in convention e programmi formativi mentre se ne incontra così poca nella pratica corrente.

Come è possibile?

Un grande ricercatore e autore della leadership, Ken Blanchard, dice che “povero” significa “assente”. Ma che dire di quei comportamenti sprezzanti, inutilmente aggressivi, falsamente partecipativi, autoritari quando non serve, abdicanti quando il gioco si fa difficile? Non sono forse anche queste manifestazioni di leadership povera?

Troppo poco? Sì, troppo poco per un paese come l’Italia che dovrebbe
dare lezioni a tutto il mondo su questi temi. Giotto ha inventato la
prospettiva e oggi spesso ci imbattiamo in capi che non riescono a
guardare al di là del proprio naso, abbiamo ispirato il mondo e siamo
nelle survey delle multinazionali sull’ingaggio e sulla motivazione quasi sempre a metà classifica, quando va bene. I dogi hanno immaginato
di costruire una città sull’acqua e la maggior parte dei capi pensa “piccolo” o manipola o promette “sangue e lacrime”. Abbiamo inventato le piazze e i portici per la socializzazione e ancora oggi la maggioranza dei nostri manager e imprenditori non riesce a dire le cose scomode e difficili ai collaboratori in modo sensato…

Montagne di parole, convention, programmi formativi sulla leadership e risultati “topolini”, dichiarazioni roboanti e poi decisioni mediocri, povere.

Un’inchiesta di Repubblica del 20 luglio scorso – “Ripresa senza qualità,
il capitale umano avvilito dagli anni di crisi” – evidenzia come in Italia le imprese hanno tagliato i posti di alto livello e ora affrontano le nuove sfide senza forza innovativa!
In Francia, Inghilterra e Svezia il 45% degli occupati ha un posto di alto profilo, in Italia si raggiunge appena il 33%.
Dopo cinque anni di crisi, nelle imprese italiane ci sono 1 milione
393mila occupati di alta qualifica in meno. In cinque anni sono stati
assunti 645mila lavoratori considerati mediamente qualificati in più
rispetto al passato. Le imprese hanno assunto 369mila manovali e generici in più nel quinquennio di crisi.

Ma il futuro del paese non è nell’innovazione, nella qualità e
nell’eccellenza delle persone? Ai manager e agli imprenditori italiani non gliel’ha detto nessuno?
Ma allora, perché chi doveva prendere queste decisioni si è sparato sui piedi e su quelli del Paese?

Altro che Silicon Valley.
I dati, infatti, dicono che da anni vengono tagliati i posti di lavoro qualificati a favore di quelli che richiedono solo medie o basse competenze.
Questa voi come la chiamereste?
Una leadership povera, buona o ottima?

Sappiamo bene che ogni manager deve essere coraggioso nell’affrontare
la quotidianità del suo ruolo, ma lo deve essere soprattutto quando si occupa della formazione e dello sviluppo dei suoi collaboratori e della sua squadra. Deve avere il coraggio di mettersi continuamente in discussione. Deve prendere coscienza che lungo tutto il suo percorso professionale ha al suo fianco un insidioso compagno: lo spettro del modello perfetto.

Ruggero Bacone, uno dei maggiori pensatori dell’umanità, è stato il
pioniere del metodo della conoscenza raggiunta tramite l’esperienza.
Il frate francescano ci ha lasciato una significativa eredità: c’è
differenza fra il raccogliere informazioni e l’imparare le cose attraverso
l’esperienza diretta. Nel suo Opus Maius scrive: «Esistono due tipi di conoscenza, per argomenti e per esperienza. Le discussioni portano a conclusioni e ci costringono a convenire, ma non provocano la certezza né eliminano i dubbi lasciando la mente in pace nella verità, a meno che non intervenga l’esperienza».

Ed è proprio l’esperienza a insegnarci, ieri come oggi, che la teoria è che non esiste “la teoria”. Non esiste un’unica soluzione o, se preferite, un unico modello in grado magicamente di risolvere tutti i problemi.
Ogni impresa umana, sia sul piano individuale sia su quello collettivo,
si trova ad affrontare situazioni che sono diverse a seconda dei periodi
storici e/o dei contesti. Soprattutto sono inserite nella complessità
relazionale che caratterizza la nostra vita.

A ben osservare, tutti gli eventi sono collegati a tutti gli altri eventi. Se si considera una propria azione oppure una realizzata da qualunque altra persona, si scoprirà che è stata provocata da uno fra i molti possibili
stimoli e che non è mai un’azione isolata. Ha delle conseguenze, molte delle quali possono risultare inaspettate.
È un’illusione credere che il mondo funzioni sempre grazie a schemi
preordinati. Ciò vale anche per le organizzazioni umane, comprese
le aziende. Però ci affanniamo a sviluppare teorie, modelli o rappresentazioni che non riusciranno mai a identificare l’origine delle grandi scosse che ci colpiscono.

La storia e le società non strisciano, passano da una frattura all’altra con
qualche vibrazione nel mezzo. Ciononostante ci piace credere in una
progressione continua che procede per piccoli incrementi, sempre lineari
e positivi. Come evidenzia Nassim Taleb in un suo stimolante libro,
siamo come il tacchino che ogni giorno viene alimentato e che acquisisce
la consapevolezza di una realtà bellissima nella quale viene amorevolmente accudito per scoprire la vigilia del giorno del Ringraziamento che la realtà è anche altro.

Il buon manager-maestro è, quindi, colui il quale sa riconoscere che abbiamo un’incapacità genetica di affrontare la complessa struttura
del mondo e sa condividere con le persone che lo circondano questo
aspetto; è inoltre cosciente che noi membri della varietà umana dei
primati siamo avidi di regole e modelli perché abbiamo bisogno di
ridurre le dimensioni delle questioni in modo da farcele entrare in testa
meglio e sa aiutare gli altri a superare questa rigidità.

La capacità di sviluppare pensiero, non il pensare a schemi, è quindi
l’approccio che un buon manager maestro può regalare ai suoi collaboratori-allievi.
Sviluppare pensiero, condividerlo con gli altri in un continuo interscambio,
sperimentare il pensiero nell’attività pratica e tornare a sviluppare
pensiero. Questo è il processo che ha consentito all’umanità di imparare a evolvere.

La funzione principale del manager-maestro è, quindi, stimolare il
processo di apertura mentale perché, come ci ha tramandato il saggio
poeta persiano Gialal al-Din Rumi, «apri la porta della tua mente al
vagabondo della comprensione, perché tu sei povero e lui è ricco».
Il manager-maestro è più di qualcuno che sta passando una conoscenza
ufficiale; più di qualcuno che è in uno stato di armonia con chi impara; più di una macchina che comunica una parte di un gruppo di informazioni disponibili in forma preconfezionata. E sta insegnando qualcosa che è più di un metodo di pensare, o di un atteggiamento verso la vita; più anche di
una potenzialità di auto-sviluppo.

È innanzitutto una persona in continuo cambiamento, carico di domande
e dubbi. L’uomo che non cambia mai, non può essere un buon maestro.
Il manager-maestro si deve sforzare di rendere disponibile al collaboratore-allievo il materiale per sviluppare la sua coscienza e le sue
capacità. Come guida egli mostra la via, ma lo stesso aspirante deve
compiere il cammino. Il maestro è il legame fra il discepolo e lo scopo.
Perché ognuno deve imparare a essere innanzitutto maestro di se
stesso.

Chi fa il manager o il formatore di professione deve avere il coraggio
di ri-formare se stesso per poter offrire un valido contributo all’evoluzione
delle organizzazioni nelle quali interviene.

Chi dirige le organizzazioni deve far proprio il fatto che è più rilevante
avviare e mantenere un continuo processo di apprendimento che
coinvolga tutte le persone piuttosto che imporre occasionalmente interventi di adeguamento.
E il buon maestro deve ricordare che il suo scopo è raggiunto nel momento in cui le persone camminano con le proprie gambe e lui è diventato “inutile”.

_________________
Stefania - Staff di QualitiAmo

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Registrato: 27/09/13 08:38
Messaggi: 5802

MessaggioInviato: Ven Set 25, 2015 3:12 pm    Oggetto: Rispondi citando

Bello ed interessante articolo
_________________
"Le domande non sono mai indiscrete. Le risposte lo sono a volte"
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